martedì, gennaio 07, 2025

Camminare nella speranza


Carissime Annunziatine,

 

l’anno che sta iniziando è un itinerario di speranza, un pellegrinaggio di giubilo, un cammino nella fede. Tre sono le virtù principali (o teologali, perché sono anche dono di grazia) di cui la più grande è certamente la carità che rimarrà anche quando il nostro pellegrinaggio terreno sarà concluso (cfr. 1Cor 13,13). La fede illumina la nostra vita e senza di essa non sapremmo neppure dove andare, la fede anticipa la mèta ed è sostanza delle cose che non si vedono ma che sono reali e ci attendono in Dio. La speranza è come la più piccola delle tre sorelle, ma nel cammino diviene quella che trascina come per mano le altre due. Senza la speranza la carità perde di ardore e senza di essa la fede, che pur guarda ed anela il traguardo, perde forza nel cammino che va realizzato passo dopo passo. Il cuore e la testa vorrebbero essere già giunti alla mèta, ma bisogna che la lampada della fede sia sempre rifornita dell’olio della speranza. È importante che il fuoco della carità non si affievolisca nella vita ordinaria e per questo ha bisogno della speranza che pur mirando alla mèta rincuora l’ardore nel momento presente. La speranza opera giorno per giorno, passo dopo passo, essa è indispensabile quando arrivano le fatiche e le tribolazioni. Infatti come afferma san Paolo: «ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5,3-4).

L’uomo è viatore... in salita

La speranza abita tra il presente e la mèta da raggiungere. Scriveva nel 1945 il filosofo Gabriel Marcel: «L’Homo viator è l’uomo in cammino, esso desidera e spera così si apre al futuro». Ciascun uomo è viatore perché cammina sulla via che lo conduce in Cielo: fin quando non è arrivato è tale. Gesù stesso si è fatto “viatore” per noi quando ha vissuto tra noi su questa terra e conosce il nostro peregrinare. Nell’Antico Testamento vediamo che i Patriarchi sono sempre in cammino. Israele è sempre in cammino e quando ha raggiunto la terra promessa, rimane il pellegrinaggio per raggiungere e lodare il Signore nel suo Tempio in Gerusalemme. Questo cammino si trasforma in “esilio” quando non segue il suo Signore. In ebraico il nostro termine “esodo” (dal greco “uscita”)  viene espresso con la parola “salita”. È lo stesso termine usato per andare in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme, mentre i salmi che accompagnano questo cammino sono i salmi della salita (in latino i salmi “graduali”). Anche nei Vangeli si parla di “salire a Gerusalemme”. Dovremmo dunque parlare di pellegrinaggio cristiano come di un “viaggio in salita” verso Dio e non solo verso un luogo geografico. L’anno che viene è “giubilare” e la Chiesa ci invita dunque ad un cammino in salita: camminare verso il Cielo, verso Dio. Se il nostro vivere rimane solo orizzontale, solo terreno, solo ordinario, non raggiungeremo mai la vera mèta. Per questo nel nostro zaino, ma soprattutto nel nostro cuore, è necessario riporre con cura prima di tutto fede, speranza e carità. Ma la speranza è come il nostro “bordone” (cioè il bastone del pellegrino): grazie ad essa possiamo continuare a salire.

Pellegrinaggio giubilare

Il Giubileo prima di tutto è un percorso spirituale in un tempo stabilito. Vale la pena di soffermarsi su queste due caratteristiche che sono anche religiose e liturgiche: raggiungere un luogo determinato e farlo in un tempo determinato. Questo vale anche per l’anno liturgico e per i luoghi della celebrazione liturgica. Per questo ci mettiamo in cammino. Se tutto è uguale perché muoversi? e perché farlo in un determinato tempo? Ci sono dunque “luoghi” e “tempi” diversi dagli altri. Se così non fosse tutto sarebbe noioso e monotono. La  festa è un giorno diverso da quelli ordinari. Inoltre questa diversità non è soggettiva ma comunitaria e oggettiva. Molte religioni hanno i loro rispettivi luoghi e tempi di pellegrinaggio: è una dimensione umana e sociale. Il nostro pellegrinaggio deve essere cristiano, deve colorarsi e ravvivarsi dell’occasione di essere più cristiani. A Roma possiamo andarci anche da soli ed in un altro momento, non è necessario andarci durante il Giubileo. Infatti non è affatto una cosa obbligatoria e indispensabile come l’andare a Messa, ricevere i sacramenti, ecc. Ci sono tanti altri pellegrinaggi e ricorrenze ma nel 2025 la Chiesa tutta si orienta su Roma per ricordarci che la nostra fede è fondata sulla predicazione degli Apostoli, in primis san Pietro e san Paolo le cui tombe sono a Roma. Visitiamo le tombe di coloro che sappiamo sono vivi in Cielo, e che da lì intercedono per noi che siamo ancora sulla terra. La Chiesa è comunione di quelli che sono già in Cielo e di quelli che sono ancora in cammino verso il Paradiso. È un momento ecclesiale, insieme sociale e storico ma anche spirituale e di grazia. È un’occasione di grazia per questo tempo che viviamo. Non dobbiamo svalutare il dono delle indulgenze che sono legate alle visite giubilari. Sono proprio queste che ci rendono la dimensione cristiana di questo pellegrinaggio. Senza di esse sarebbe solo una attività turistica. Tuttavia molti cristiani (e molte Annunziatine) non hanno più le forze o la possibilità di fare il pellegrinaggio giubilare a causa di età e salute malferma. Per questo va ribadito il valore ecclesiale e comunitario di questo evento. È dell’intera Chiesa: ne partecipano in presenza quelli che possono camminare, ma ne fruiscono le grazie anche tutti gli altri cristiani che sono in comunione. Quando si va in pellegrinaggio portiamo con noi anche quelli che, in comunione con noi, non possono essere fisicamente con noi, anche loro partecipano del dono di grazia. Da non dimenticare poi la comunione dei defunti, specie per quelli che non hanno ancora raggiunta la mèta eterna e stanno ancora in purificazione. Anche loro partecipano della nostra speranza pellegrinante. Ci affidiamo a Maria, stella del nostro cammino, affinché ci ottenga abbondanti grazie in carità, fede e speranza.

 

Don Gino


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