DOPO LA MORTE DELLA MAMMA IL 13 GIUGNO 1923
Leggiamo ora quanto narra Suor Angela Teresa Raballo FSP nelle Memorie: Qualche tempo dopo l'arrivo delle Figlie di San Paolo da Susa ad Alba (5), il Signor Teologo andò a predicare in un paese della diocesi; salì sul pulpito sudato e si trovò tra una corrente di aria fredda. Tornato a casa si mise a letto. I medici consultati dissero che si trattava di una tubercolosi... Il parroco di Benevello, Don Luigi Brovia, si disse contento di ospitarlo in casa sua, purché qualcuna delle Figlie di San Paolo andasse a Benevello a fargli da infermiera. La sorte toccò a me.
Si partì su di una vettura, nel
mese di luglio del 1923, e si stette là tutto il mese di agosto. Il signor
Teologo non celebrava più la Messa e neppure poteva recitare il Breviario.
Stette per quindici giorni a letto e faceva la Comunione a letto. Ogni giorno
si faceva leggere un brano del libro degli Esercizi spirituali di S. Ignazio,
che si era portato appresso. Leggevo fino a quando lui mi diceva: «Basta ora,
ne ho fino a domani». Aveva perso la voce, e aveva sempre la febbre... Non
dimostrava segni di miglioramento. Se io piangevo, mi diceva: «Perché piangere?
Non sai che al mio posto verrà uno che farà meglio di me!». Soleva ripetere:
«Non potendo più tornare in comunità, a causa del mio male, che mi costringe a
stare isolato, andrò al Cottolengo di Torino, e là finirò i miei giorni»... Un
sacerdote paolino venuto a trovarlo lo sgridò per questi discorsi che faceva
anche a lui. Da quel giorno non parlò più di andare al Cottolengo ...
Quando si senti un po' meglio
cominciò a scrivere le Costituzioni della Pia Società di San Paolo, usando per
questo una matita che gli avevo prestato. Nel pomeriggio andava un poco nella
chiesa parrocchiale; poi cominciò a celebrare la Messa. In settembre ritornammo
ad Alba (6).
Al ritorno dalla cura, Don
Alberione fu festeggiato per il suo ritorno e lo si sperava guarito. Vi furono
però ancora strascichi e ricadute nella malattia. Un bel giorno però - si disse
dopo una visione avuta di Gesù Maestro - Don Alberione non ne volle più sapere
né di medici né di medicine, e cominciò a lavorare come prima e anche più di
prima. A qualche confidente disse che sarebbe ancora vissuto almeno altri
quarant'anni. Don Alberione poté essere tuttavia presente e benedire tutti i
Paolini quando partirono in treno da Alba per Genova per presenziare alla
solenne giornata conclusiva del settimo Congresso eucaristico nazionale, ed
alla trionfale processione del 9 settembre 1923 (7). I Paolini erano allegri e
la loro allegria esplodeva in mille maniere: cantavano, pregavano, urlavano e
ad ogni stazione ferroviaria distribuivano stampati inneggiano a Gesù
eucaristico; al braccio avevano un bracciale che li distingueva come
pellegrini. Tornarono ad Alba alla sera molto tardi, stanchissimi, ma con in
cuore una gioia profonda, indimenticabile, che alimentò per molti anni in
avvenire la loro devozione e la loro fantasia.
Don Alberione nel 1923 potè avere
un valido aiuto in alcuni novelli sacerdoti paolini: ricordiamo Alfredo Manera
e Cesare Robaldo, ordinati il giorno 29 giugno; Desiderio Costa, Pietro
Borrano, Giovanni Chiavarino, ordinati il 22 dicembre 1923.
(Don Giacomo Giuseppe Alberione è poi vissuto fino al 26 Novembre 1971 ndr)
«Non temete... Io sono con voi...»
Sarà arduo chiarire tutti gli
elementi che si riferiscono alle malattie di Don Giacomo Alberione ed anche
stabilirne la loro successione cronologica. Così sarà quasi impossibile
analizzare alcuni fatti straordinari che lo riguardano e che lui propose come «sogni»,
forse seguendo la falsariga dì San Giovanni Bosco. Lo stesso Alberione ebbe a
dire che «natura e grazia operano così associate da non lasciar scoprire la
distinzione tra esse» (AD, 28).
Don Giovanni Evangelista Morene
(1885-1970), arciprete di Guarene (Cuneo), sentì un giorno dalla bocca di Don
Alberione queste parole: «Temo solo due cose per la nostra Congregazione: il
peccato e le ricchezze». Lo stesso arciprete narrò di essere andato un giorno
ad Alba per vedere Don Alberione, e gli dissero che stava facendo gli Esercizi
spirituali nella sua cameretta. Egli allora salì alla camera di Don Alberione,
bussò, e senza attendere risposta entrò. Vide che Don Alberione aveva sul
tavolo un teschio di morto autentico, e che se ne serviva per fare la meditazione
sulla morte. Don Alberione soffrì grandemente per coloro che erano stati
chiamati da Dio e poi avrebbero abbandonato la vocazione, avrebbero
defezionato. Lo manifestò a distanza di tempo, nel 1938, durante un corso di
Esercizi spirituali da lui predicato ai Sacerdoti paolini più anziani. Egli
disse al riguardo: "Quando si doveva acquistare questo terreno (8), i
giovani son venuti a ricrearsi in questo luogo: io guardavo in su e in giù
questo orto e questo prato e pensavo se era volontà di Dio che affrontassi
queste spese, data la nostra infanzia. E mi è sembrato di essermi un momento
addormentato: il sole splendeva finché le case si costruivano; poi il sole si
oscurava, e io vedevo che il dolore più grande era dato da quelli chiamati da
Dio, che poi avrebbero abbandonato la vocazione; e specialmente da uno, il
quale, acquistando un certo potere, se ne sarebbe servito ben grandemente
contro la casa paolina; poi il sole ritornò a risplendere... E si incominciò a
fabbricare (9).
Ritornò più tardi sullo stesso
argomento, quando nel 1953 scrisse:
Circa il 1922 cominciò a sentire
la pena più forte, appena entrato nella prima casa costruita (10). Ebbe un
sogno. Vide segnato il numero 200; ma non comprese. Poi sentì dirsi: «Ama
tutti, tante saranno le anime generose. Soffrirai però per deviazioni e
defezioni; ma persevera; riceverai dei migliori». Il duecento non aveva alcuna
relazione con quanto sentì. Tuttavia tale pena sempre gli rimase come una spina
affondata nel cuore (AD, n. 26).
Tra tante pene fisiche e morali,
non mancò il conforto di Gesù Maestro, che rassicurò il suo servo fedele. Così
disse Don Alberione, nel medesimo corso di Esercizi spirituali predicati ad
Alba, nel mese di giugno 1938:
Come mi è chiaro quello che ho
visto in fondo alla casa, in quella camera (11), in uno di quei giorni in cui
io non lavoro: il Divin Maestro passeggiava ed aveva vicino alcuni di voi ed ha
detto: «Non temete, io sono con voi; di qui io voglio illuminare; abbiate il
dolore dei peccati...». Se noi amiamo Iddio. Iddio e con noi (12). Questo
episodio non è chiaramente collocato in un tempo determinato; si sa che dopo
questa visione egli ne parlò ai suoi, in una meditazione, ma essi non diedero
importanza alla cosa, e ne fecero oggetto di curiosità più che di preghiera;
interrogarono il Teologo Alberione su alcuni particolari della visione, ed egli
fu indotto a proibire loro di parlarne ancora. Ne parlarono però ugualmente, ed
alcuni sacerdoti paolini che avevano ascoltato quella meditazione, e che
andavano a celebrare Messa nei paesi dell'albese, narrarono il fatto
meraviglioso ad alcuni parroci. Don Giovanni Battista Morone, parroco di
Grinzane Cavour (Cuneo), disse di aver saputo l'episodio da Don Sebastiano
Trosso, poco tempo dopo l'avvenimento singolare e misterioso.
Per chiarire alcuni aspetti
dell'episodio stesso. Don Alberione ne scrisse più ampiamente nell'anno 1953,
inquadrandolo nella situazione storica del momento:
In momento di particolari
difficoltà, riesaminando tutta la sua condotta, se vi fossero impedimenti
all'azione della grazia da parte sua, parve che il Divin Maestro volesse
rassicurare l'Istituto incominciato da pochi anni.
Nel sogno, avuto successivamente,
gli parve di avere una risposta; Gesù Maestro infatti diceva: «Non temete, io
sono con voi. Di qui voglio illuminare Abbiate il dolore dei peccati» (13).
Il di qui usciva dal tabernacolo;
e con forza; così da far comprendere che da Lui-Maestro tutta la luce si ha da
ricevere.
Ne parlai col Direttore
Spirituale, notando in quale luce la figura del Maestro fosse avvolta. Mi
rispose: «Sta' sereno; sogno o altro, ciò che è detto è santo; fanne come un
programma pratico di vita e di luce per tè e per tutti i mèmbri» (14).
Di qui sempre più si orientò e
derivò tutto dal Tabernacolo.
Come egli intese nel complesso
delle circostanze tali espressioni:
a) Né i socialisti, né i
fascisti, né il mondo, né il precipitarsi, in un momento di panico, dei
creditori, né il naufragio, né satana, né le passioni, né la vostra
insufficienza in ogni parte... (15): ma assicuratevi di lasciarmi stare con
voi; non cacciatemi col peccato.
«Io sono con voi», cioè: con la vostra Famiglia, che ho voluta, che alimento, di cui faccio parte, come Capo. Non tentennate! Se anche sono molte le difficoltà...; ma che io possa stare sempre con voi: non peccati!
b) «Di qui voglio illuminare». Cioè, che Io sono la luce vostra, e che mi servirò di voi per illuminare; vi dò questa missione e voglio che la compiate. La luce in cui era avvolto il Divino Maestro, la forza di voce sul voglio e da qui e l'indicazione prolungata con la mano sul Tabernacolo furono così intesi: un invito a tutto prendere da Lui, Maestro Divino abitante nel Tabernacolo; che questa è la sua volontà; che dalla allora minacciata Famiglia doveva partire grande luce... Perciò, egli credette di sacrificare la grammatica al senso, scrivendo «Ab hinc»; si capisca e ognuno pensi che è trasmettitore di luce, altoparlante di Gesù, segretario degli evangelisti, di S. Paolo, di S. Pietro...; che la penna della mano con la penna del calamaio della stampatrice fanno una sola missione.
«Il dolore dei peccati» significa un abituale riconoscimento dei nostri peccati, dei difetti, insufficienze. Distinguere ciò che è di Dio nella nostra vocazione, da quello che è nostro: a Dio tutto l'onore, a noi il disprezzo. Quindi venne la preghiera della fede:
«Patto o Segreto di riuscita» (16).
Come nei racconti evangelici, dal
semplice testo rilasciato da Don Alberione non si può avere certezza sul luogo
in cui avvennero questi fatti straordinari, ne sulla data, e su altri
particolari che accontenterebbero la nostra curiosità, ma che probabilmente non
cambiano nulla della assoluta verità dei fatti, e sul loro insegnamento
essenziale. Don Alberione, nell'ultimo suo anno di vita, tenne a precisare che
le parole udite dalla bocca di Gesù Maestro erano state pronunziate in lingua
latina. Esse in breve furono trascritte sia in latino come in italiano e poi in
diverse lingue, a destra e a sinistra del Tabernacolo, perché fossero sempre
presenti durante la celebrazione della Messa e durante la Visita eucaristica.
Inoltre, in latino, alla quale lingua bisogna riferirsi per una precisa
esegesi, queste parole «Nolite timere, Ego vobiscum sum - abhinc (ossia dal
Tabernacolo) illuminare volo - poenitens cor tenete», contengono una ricchezza
spirituale maggiore. L'ultima raccomandazione di Gesù Maestro è molto più
comprensiva ed estesa della semplice esortazione in italiano: abbiate il dolore
dei peccati; «Cor poenitens» poteva averlo anche Maria SS., per i peccati del
mondo, mentre non poteva avete un dolore dei propri peccati, che, essendo
Immacolata, non aveva, né (peccati) originali, né attuali.
Che si trattasse di cosa seria e
non di una semplice allucinazione, lo si può dedurre dalla condotta successiva
tenuta dal Fondatore. Volle che le parole pronunziate da Gesù Maestro fossero
scritte, in maniera più o meno artistica ed elegante, in italiano o latino o in
lingue diverse, sulle pareti delle cappelle paoline, in alto, nel presbiterio,
e visibili da tutti, e da ogni angolo del tempio. Ancora trent'anni dopo,
mentre a Roma si stava studiando una bella frase da incidere a caratteri grandi
sul cornicione esterno del Santuario della Regina degli Apostoli, venne
recapitato all'ingegnere architetto del Santuario Giuseppe Forneris
(1899-1955), progettista e direttore dei lavori, una lettera raccomandata di
Don Alberione, proveniente dal Giappone, dove lui si trovava allora in visita
alle Case Paoline di quella nazione, che conteneva, senza giri di frase,
quest'ordine perentorio: «Sul fregio si dovrà incidere questo: Nolite timere,
ego vobiscum sum - abhinc illuminare volo - poenitens cor tenete». Firmato: Don
Alberione» (cf MP, pag. 67). Alcuni dissero:
“Che c'entra questa iscrizione con una chiesa dedicata a Maria SS., Regina
degli Apostoli?” La disposizione del Fondatore però non venne mutata.
Un'altra prova della serietà e
certezza dell'episodio dell'apparizione si ebbe poco dopo, nella istituzione
del ramo femminile delle Pie Discepole del Divino Maestro, separato di fatto e
successivamente anche di diritto dalle Figlie di San Paolo. Alle Pie Discepole
doveva essere affidato, in modo del tutto particolare, come delegate di tutta
la Famiglia Paolina, il compito di attuare la divina volontà nel mandato: Dal
Tabernacolo, ossia dalla SS. Eucaristia, voglio illuminare... Il compito principale delle Pie Discepole è
quello dell'Adorazione eucaristica continua, davanti al Tabernacolo: con la
preghiera devono attingere di qui la grazia e la luce per tutti i mèmbri della
Famiglia Paolina, organizzati in Congregazioni religiose, Istituti e nel gruppo
dei Cooperatori.
NOTE - CITAZIONI - FONTI - STUDI
(5) Data probabile di questo
arrivo delle Figlie di San Paolo da Susa ad Alba è il 23 marzo 1923.
(6) Raballo Angela (Suor Teresa,
F.S.P), Memorie del Primo Maestro rev. Teologo Giacomo Alberione. Opera
inedita. (7) Su questo Congresso eucaristico, si veda: Rosa Enrico, Il settimo
congresso eucaristico nazionale di Genova (5-9 settembre) [1923], in CC
1923-IV-31-49.
(8) E' il terreno dove sorsero le
costruzioni dell'attuale Casa Madre della Pia Società di San Paolo, in Alba
(Cuneo), e il Tempio dedicato a San Paolo Apostolo. Erano campi, prati, alcune
costruzioni rustiche di proprietari diversi.
(9) Alberione G., Opera omnia,
volume 2: «Mihi vivere Christus est», n. 138.
(10) E' il primo tronco di Casa
San Paolo, costruito in Alba (Cuneo). Il trasloco dalla casa in affitto di via
Vernazza, n. 6, alla nuova sede fu iniziato nel mese di agosto del 1921.
(11) II primo redattore di questo
testo, il Teologo Giuseppe Timoteo Giaccardo mise qui, tra parentesi, questa
precisazione: «L'ufficio che il Primo Maestro teneva nella Casa San Paolo, nei
primi anni che fu costruita».
(12) Alberione G., Opera omnia,
volume 2: «Mihi vivere Christus est», n. 139.
(13) Queste parole vennero udite
in lingua latina: «Nolite timere, Ego vobiscum sum. Abhinc illuminare volo; cor
poenitens tenete».
(14) Nel manoscritto questo brano
è in prima persona.
(15) Qui è sottintesa la frase:
«Nulla vi può fare del male».
(16) Questo lungo brano è tolto
da AD, nn. 151-158. - II «Patto» si recitava già prima; forse qui si intende
riferirsi al libro Le Preghiere della Pia Società S. Paolo. Alba, Scuola
Tipografica Editrice, 1922.
Fonte: Giuseppe Barbero, Il
sacerdote Giacomo Alberione, un uomo, un’idea – SSP 1991 (2) pp. 359-364
da: percorsi di fede
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