martedì, febbraio 04, 2020

CHE COSA E' LA PREGHIERA

La preghiera
CHE COSA E' LA PREGHIERA
( da: Catechesi Paolina ssp - Roma) 

Sono tante le definizioni che la spiritualità di secoli di vita cristiana ha fatto fiorire sulle labbra di mistici e santi. Ecco alcune definizioni spigolate dall'immenso florilegio di persone che hanno sentito la necessità della preghiera:

«È pensare a Dio amandolo» (Charles de Foucauld).
«È un intimo rapporto di amicizia con Colui dal quale sappiamo di essere amati» (santa Teresa d'Avila). «Pregare è avere fiducia in Dio e avere fiducia in se stesso» (san Francesco di Sales).
«L'uomo che prega ha le mani sul timone della storia» (san Giovanni Crisostomo).
«Pregare è il tempo dell'incarnazione di Dio in te. Il tempo in cui ti lasci ispirare, trasformare a sua immagine» (Louis Evely).
«La preghiera è una professione solenne dei diritti supremi di Dio e una necessità per l'uomo per compiere i suoi voleri» (Andrea Gemma).
«La preghiera è per l'uomo, il cristiano, il religioso, il sacerdote il massimo dovere. Nessun contributo possiamo dare alla Congregazione maggiore della preghiera; nessun'opera più utile per noi della preghiera, nessun lavoro più proficuo per la Chiesa della preghiera. L'orazione, perciò, prima di tutto, sopra tutto, vita di tutto» (don Alberione, CISP 97-98).
Una definizione paradossale ma significativa è questa: la preghiera è perdere tempo per Dio per redimere il tempo. Non vuol essere semplicemente una definizione ad effetto: in essa è racchiusa anzitutto la verità fondamentale che la preghiera non è solo un dovere, ma una necessità; e, come tale, non appartiene tanto all'ordine dei bisogni, quanto dei valori. Il che significa che la necessità della preghiera sussiste anche se non ne sentiamo il bisogno. La conclusione è quindi che dobbiamo pregare non solo quando ne sentiamo il bisogno, ma soprattutto quando questo bisogno non è avvertito dentro di noi.
Inoltre significa che la preghiera è l'attività gratuita per eccellenza, perché diventa nostra umile risposta ai doni «gratuiti» di Dio; e quindi come tale non risponde ai criteri di utilità e di efficienza che condizionano l'agire dell'uomo. Per questo è più importante «essere preghiera» che «fare preghiera»; giustamente diceva Gandhi: «È meglio mettere il proprio cuore nella preghiera senza trovare delle parole, che trovare delle parole nelle quali non mettere il proprio cuore». Persino la preghiera di petizione - in cui ciò che chiediamo pare essere subordinato alla nostra situazione di dignità o di merito - deve mantenere la sua intima gratuità: «Anche quando supplica e impetra, la preghiera non è un "mezzo" e non vi è da chiedersi se essa "serva" o "a che serva"».
Infine significa che la preghiera è un perdere tempo per Dio dando­gli «il» tempo e «del» tempo. La preghiera, per salvare la sua intima gratuità, vuole il tempo e vuole del tempo.

1. Vuole il tempo. Come ci invita la Parola di Dio, occorre pregare «incessantemente» (1 Ts 5,17), «continuamente» (1Ts 2,13), «pregare, sempre, senza stancarsi» (Lc 18,1), «essere perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12), «pregare senza interruzione» (Ef 6,18). Sono tutte espressioni bibliche che ci dicono chiaramente che c'è nella nostra vita un tempo che bisogna dare giorno e notte al Signore: è il tempo del cuore, cioè quella dimensione del tempo interiore che ci pone in contatto con Dio, autore, momento per momento (quindi ininterrottamente) della nostra vita. Questa misteriosa dimensione del tempo interiore da dare continuamente a Dio è possibile a tutti i cristiani. Difatti Paolo invita a questa preghiera non solo i presbiteri, ma ogni credente in Cristo. È quella che la spiritualità orientale ha chiamato la «preghiera del cuore» o la «preghiera di Gesù». -(È edificante leggere i «Racconti di un pelle­grino russo» per capire la dinamica stupenda di questa preghiera).
È al livello della preghiera del cuore che avviene la sintesi tra azione e contemplazione.

2: Vuole del tempo. E tempo sufficientemente lungo. «Ogni religioso deve testimoniare il primato di Dio consacrando un tempo sufficientemente lungo all'incontro quotidiano con Dio»; e questo a seconda dei doni e delle esigenze dello Spirito che ci usa come strumenti. Il Fondatore dedicava alla preghiera, come tempo materiale, dalle cinque alle sei ore al giorno; e per ogni religioso stabiliva anche il «tempo materiale» da dedicare alla preghiera: «Per i professi perpetui, specialmente i sacerdoti: ad assicurare la perseveranza, la santificazione e fruttuoso apostolato, vi siano quotidianamente quattro ore di preghiera» (CISP 202). Solo la fedeltà a questo tempo di preghiera ci porterà alla preghiera del cuore, che non è altro che la preghiera di tutto l'essere e di tutta la vita.

IMPORTANZA E UTILITÀ DELLA PREGHIERA

Con un'espressione molto lapidaria, scarna ma essenziale, così don Alberione sintetizza l'importanza
della preghiera per un consacrato: «Non merita il nome di religioso, e non lo è di fatto, chi non mette al primissimo posto la preghiera» (UPS II, 9). In un «San Paolo» del 1958, dopo aver affermato che il problema vocazionale era fondamentale, così affermava: «Chiedo troppo domandando a Dio e a voi di raddoppiare per ottobre 1963 il numero dei professi, arrivando così a 1600? Si tratta di cinque anni». E nel 1960, costatando che il numero dei professi aveva superato il migliaio, invita ad un esame di coscienza sulla freschezza del nostro «rifornimento spirituale» e distingue due classi di paolini: «... quelli che davvero pregano e quelli che scarsamente o insufficientemente pregano. Ed ecco la spiegazione di quanti progrediscono e portano frutti; e la spiegazione dei fallimenti nelle opere o addirittura nella vita» (UPS 1, 21-22).

1. Importanza della preghiera

Si può dire che la preghiera appartiene alla natura della vita religiosa (e ancor prima, a quella della vita cristiana; il religioso ha il compito di testimoniare, con la sua vita, l'indispensabilità di questa dimensione nella vita dell'uomo, indebolita in noi dal peccato di origine). È «ontologicamente» necessario che il religioso preghi, perché - come dice Giovanni Paolo II - sia ciò che è. «Sacerdote, sii ciò che sei: la santità dell'essere deve manifestarsi nella santità del vivere». Il che significa che il rapporto della preghiera con il religioso è: a. come quello della pelle con il corpo; il corpo senza pelle si sfalda, così il religioso senza preghiera non può più essere tale;
b. come l'aria e il pane dei quali il corpo ha assoluto bisogno: «Finché non si ritiene la pietà necessaria per noi, così come il pane e l'aria per vivere, saremo insufficienti, vuoti e volubili» (Pensieri, p. 135; cf CISP 294); c. come il sangue per l'organismo umano: «la preghiera è come il sangue, che parte dal cuore, attraversa tutte le membra, nutrendo e vivificando l'intero organismo» (Pensieri, p. 134).

La preghiera diventa la «santità in atto». Senza preghiera non riusciamo a manifestare quello che dobbiamo essere.

2. Utilità della preghiera

Dice Jean Guitton: «La preghiera è un atto di pensiero e di amore che ci pone nello stesso tempo nell'eterno e, nel tempo». Chi prega è « eternista»: egli si pone in un sol colpo nell'intimo dell'essere divino che gli domanda di essere «più essere», si rivolge alla Pienezza per essere «più pienezza»: Pregando, anche senza rendercene conto, entriamo nel mistero, «in quel sistema tra eterno e tempo, tra finito e infinito e prendiamo in mano il nostro destino e lo trasformiamo in fine». La parola greca «mysterion» si può tradurre «progetto segreto»: la preghiera ci inserisce nella dinamica del progetto di Dio su di noi, che rimane a noi segreto nel suo svolgersi, ma ci dona là certezza di essere strumenti nelle sue mani e quindi la pace di essere nella sua volontà, Per questo don Alberione afferma a più riprese: «Se si facessero bene le pratiche di pietà, si otterrebbero dei risultati che alcuni non osano neppure sperare». «Il mezzo più efficace per trovare vie d'uscita nelle nostre difficoltà è sempre la preghiera». «Dio lavora per chi lavora per lui. Disponiti dunque a fare come se tutto dipendesse da te e pregare e sperare nel Signore come se tutto dipendesse da lui» (Pensieri, pp. 134-135).

PREGARE: COSA OCCORRE CHIEDERE

Il brano di Lc 11,1-13 è ricco di insegnamenti per capire come rapportarci con Dio quando ci poniamo in preghiera. Uno dei discepoli si accosta a Gesù e gli chiede di insegnare loro a pregare come fece Giovanni Battista con i suoi discepoli. Gesù pare disattendere la domanda del discepolo: Gesù non risponde al «come» pregare, ma dice semplicemente: «pregate». Noi siamo sempre tentati, anche nella vita spirituale, di chiedere e cercare delle «ricette»; invece Gesù risponde con uno straordinario principio di vita spirituale: per imparare a pregare, occorre pregare. Come non si insegua a un bambino a camminare: lo si sostiene semplicemente; così non si insegna a pregare: si prega e basta; vale a dire: ci si abbandona alla presenza dello Spirito che è dentro di noi, e si dice, si ascolta, si fa quello che lo Spirito suscita dentro di noi (cf Rm 8,26-27). La preghiera non è altro che prestare la voce, prestare le nostre mani, il nostro corpo allo Spirito. Allora subiamo il fascino di questa presenza e capiamo la preghiera.

1. La domanda del discepolo non era del tutto giusta; essa però era stata originata da un misterioso fascino. Dice Luca che «Gesù si trovava in un luogo a pregare». Quanto aveva pregato? Forse tutta la notte. Certamente a lungo. Si era creata un'intimità stupenda con il Padre, per cui Gesù doveva essere come rivestito della sua potenza, della sua luce, del suo calore, della sua bellezza. E necessariamente tutto questo traspare. Luca continua: «Quando ebbe finito» ritornò in mezzo ai suoi discepoli. Che cosa vide il discepolo? Un volto trasfigurato dalla preghiera; e ne rimase conquistato.

2. Gesù nei vv. 5-13 racconta quindi la parabola dell'amico importuno per indurci a una preghiera perseverante ed insistente.

3. Di conseguenza con i tre imperativi: «Chiedete, cercate e bussate», ci invita a credere alla potenza della nostra intercessione. Gli esegeti fanno notare una cosa curiosa: sono tre imperativi senza oggetto, cioè Gesù non dice «che cosa» dobbiamo chiedere o cercare; eppure sarebbe stato importante dirlo, perché molto facilmente possiamo chiedere cose sbagliate. Ma proprio questo ci fa capire anzitutto che la preghiera non ha come scopo principale di ottenere quello che pur sentiamo di chiedere; ha invece lo scopo di farci sentire la soavità di questa presenza e di avere la certezza - se sperimentiamo l'esaudimento - di essere inseriti nel progetto di Dio in quanto abbiamo chiesto ciò che lui fin dall'eternità aveva destinato a noi in questo momento. Pregare allora significa entrare totalmente nel disegno di Dio, entrare nella logica di Dio per trovarci a chiedere e a cercare proprio quello che lui ha stabilito per il nostro bene. E’ chiaro che questo modo di pregare è un dono dello Spirito. E Gesù ci fa capire, continuando la sua catechesi, qual è l'oggetto di questo chiedere, di questo cercare e dove con insistenza dobbiamo bussare: l'nica cosa essenziale da chiedere è lo Spirito, l'unico senso della vita è cercare il volto dello Spirito di Gesù; e ci sarà dato di certo di trovarlo; e bussare quindi alla porta del nostro intimo, dove lo Spirito ha posto, per volere di Gesù, la sua dimora. Che sia questo l'oggetto dei tre imperativi lo si deduce chiaramente dall'ultimo versetto del brano di Luca: «Se dunque voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono». Ecco, che cosa è essenziale chiedere: ogni tipo di preghiera (di petizione, di ringraziamento, di pentimento) deve ricondurre a questa incessante e perseverante richiesta: lo Spirito. Ci ritroveremo a vivere non più in una preghiera sopportata o stanca, ma vivificata dalla presenza forte e soave dello Spirito, che guida la nostra vita a discernere le «vie» di Dio che stranamente non sono mai le nostre vie, ad assumere i pensieri di Dio che difficilmente sono i nostri (cf Is 55,6-9).

CARATTERISTICHE DELLA PREGHIERA

«Abbandonando la preghiera, tutto l'edificio spirituale cade e rimane un cumulo di rovine, un bel castello ma diroccato» (UPS 1[, 12). La necessità inderogabile della preghiera deve spingerci a ricercare quali siano le sue caratteristiche principali per poterla vivere autenticamente, senza tradire questo impegno essenziale per la vita di ogni persona e di ogni comunità cristiana, in particolar modo di ogni comunità di consacrati. Di caratteristiche se ne potrebbero evidenziare parecchie; ma la Parola di Dio ci suggerisce le due essenziali, senza le quali molto difficilmente sussiste la preghiera. Dei discepoli radunati nel Cenacolo, in attesa della venuta dello Spirito, san Luca dice: «Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù» (At 1, 14). Ecco le due caratteristiche essenziali perché la comunità sperimenti la sua profonda unità nella preghiera: «unanimiter" e "perseveranter".

1.Unanimiter. - La preghiera è unanime quando la comunità è concorde nel chiedere le cose che sono essenziali; di più: le stesse cose. La forza della preghiera comune non sta tanto nel fatto di essere insieme, ma di chiedere concordemente le stesse cose; non tanto nel fatto di dire insieme le stesse formule (anche se queste sono sempre importanti, perché sono un compendio di esperienza spirituale; però occorre avere l'avvertenza di farle nostre!), ma nel fatto di accordarci per domandare le stesse cose: «In verità, in verità vi dico: se due di voi sopra la terra si accordano per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà...» (Mt 18,19-20).
L'unanimità è molto più profonda dell'uniformità:, l'uniformità è dire insieme le stesse cose, dare le stesse risposte, recitare la stessa preghiera; l'unanimità è invece quell'unità profonda di cuori, per cui avviene che ciò che chiede un membro della comunità diventa la richiesta di tutti; ciò che soffre uno della comunità diventa la sofferenza di tutti; e nella preghiera questa comunità diventa «un cuor solo e un'anima sola».
Se la comunità vive solo l'uniformità della preghiera, rischia di fossilizzarsi e formalizzarsi; per questo avviene molto facilmente il rifiuto di questo modo di pregare (fortunatamente!), ma a volte avviene anche il rifiuto della preghiera comunitaria, perché solo formale.
Se invece la comunità vive l'unanimità nella preghiera, ritroverà in questi momenti la sua anima profonda, la sua originalità, la sua vivacità più autentica; e diventerà testimone del Dio invisibile e generatrice di tante vocazioni.

2. Perseveranter. - Per capire il significato vero di questa perseve­ranza a cui ci invita Gesù, possiamo dire ciò che non è perseveranza:

* non è la perseveranza dei pagani che moltiplicano le parole nel timore che Dio non li senta; che sia distratto, disattento. È una perseveranza che ha come presupposto una mancanza di fiducia in Dio; è quindi priva di una condizione essenziale per entrare nel progetto di Dio: la fede (cf Mt 6,7);

* non è neppure la perseveranza dei sacerdoti di Baal, che per tutta la mattina saltarono intorno all'altare invocando il fuoco del loro dio sulla vittima offerta (1 Re 18,25). Invocavano un dio che non esisteva. È un rischio che corriamo sovente anche noi, quando invochiamo un dio distributore autornatico o un dio distante. Ben altro è il Dio di Gesù, Padre misericordioso, continuamente chino sull'uomo e sulle sue sofferenze, pronto al perdono;

* non è neppure la perseveranza degli abitanti della città di Betulia, ridotti ormai alla fame dall'assedio degli Assiri. Era una perseveranza che poneva delle scadenze a Dio. E Giuditta li rimprovera aspramente, perché non possiamo «pretendere di impegnare i piani del Signore Dio nostro... Perciò attendiamo con fiducia la salvezza» (Gdt 8,12-17).
Invece la perseveranza è l'attesa fiduciosa dell'intervento di Dio, intervento liberatore o consolatore; per questo:

* è come la perseveranza di Elia sul monte Oreb, che non piagnucola per ottenere la pioggia (eppure erano già tre gli anni di siccità), ma attende con fede che il Signore manifesti il suo volere (1 Re 18;41-46);

* ed è soprattutto la sublime ed inimitabile perseveranza di Gesù che nell'orto del Getsemani - come dice l'evangelista - ripeteva «eundem sermonem» (Mt 26,44); perché queste parole entrassero con efficacia nella sua vita e lo rendessero capace non solo di «fare» la volontà di Dio, ma di «divenire» ed «essere» la volontà di Dio.

PREGHIERA DI RIPARAZIONE

Don Alberione ha sentito come esigenza indispensabile per la vitalità delle opere apostoliche e per l'apostolo paolino, la preghiera, che egli paragona al cibo che mangiano e all'aria che respiriamo. Di essa una dimensione che particolarmente egli ha vissuto e cercato di inculcare è quella della riparazione.
L'apostolato da don Alberione è visto come opera di riparazione per «gli scandali» e gli errori che vengono diffusi nel mondo con gli strumenti della comunicazione sociale» (offertorio paolino). Con l'apostolato anche la preghiera, perchè entrambi elementi costitutivi della vita consacrata paolina, hanno questa forte finalità riparatrice.
«La preghiera cristiana, tra l'altro, deve mirare alla riparazione. E’utile che ci fermiamo a considerare la necessità di riparare specialmente i peccati commessi per causa della stampa cattiva, della radio e del cinematografo: i tre mezzi moderni per diffondere il pensiero umano.
Questi peccati sono i più gravi, perchè con tali mezzi il peccato di scandalo si moltiplica indefinitamente. (...) II più delle volte questi peccati si fanno di notte in modo che al mattino gli uomini hanno l'occasione di udire strilloni che gridano il giornale perverso e sono già messi nel pericolo di offendere Dio.
Sono peccati che offendono direttamente il divino Maestro perchè vanno proprio contro la sua missione. Egli venne dal cielo ad insegnare la verità, l'ordine e la giustizia; a portare la grazia e la santità. I falsi maestri diffondono l'errore, fomentano il disordine, l'attaccamento alla terra, al vizio.
(...) Qual è l'ufficio che dobbiamo compiere verso Gesù, così quotidianamente oltraggiato, combattuto? Abbia almeno Gesù qualche consolatore. (...) Il riparatore avrà l'umiltà, la carità, la mansuetudine, lo spirito di sacrificio che aveva Gesù».
Don Alberione a tal fine chiedeva ai suoi figli Discepoli che, mentre si perpetrava il male di notte nelle tipografie a servizio dell'errore, essi si dedicassero alla adorazione continua.
«Al mattino, quando incomincia a compiersi l'opera del demonio incartato, è bene che il riparatore si accosti a Gesù e faccia la comunione a riparazione di tanti peccati...
Nella riparazione noi chiediamo che si diffonda la verità, che si convertano i cattivi scrittori e si mettano al servizio di Dio (...)
La preghiera che diciamo dopo la Messa contiene tutto. Proponiamo di dirla sempre con maggior intelligenza e fervore perchè riesca di conforto al Cuore sacratissimo di Gesù» (HM II, 1 (1941), 100-103). 
Don Alberione fin da giovane aveva sentito molto profondamente la necessità della preghiera di riparazione. Per questo non solo si era iscritto fra i «Sacerdoti Adoratori» di P. Eymard, ma era entrato pure a far parte della «Lega di preghiera», fondata dal gesuita Xavier Gautrelet, il cui scopo era di «prendere a cuore gli interessi del Cuore di Gesù».

Dall'«associazione Apostolato della preghiera» inoltre don Alberione ricavava stimoli per invitare alla riparazione. Secondo tali indicazioni il riparatore avrebbe dovuto assolvere a tre uffici:

1. Consolare. Riempire la giornata di giaculatorie e rosari per tenersi idealmente sempre uniti alla Eucaristia celebrata al mattino: il sacrificio riparatore per eccellenza. È questa la preghiera del cuore, grazie alla quale il credente è sempre unito a Cristo.

2. Restituire l'onore, che altri uomini tolgono, a Gesù. È invito a fare solo e sempre "il bene" nella giornata, opponendolo al tremendo «potere del male» che si accumula con il peccato. La lotta spietata contro il peccato, che comporta anzitutto eliminarlo dalla propria vita personale, è caricarsi del peso dei peccati altrui e offrire sacrifici e preghiere per ripararli, è adoperarsi con ogni mezzo (apostolato) perchè non ne vengano commessi altri.

3. Imitare e partecipare alla vita di Cristo nell'apostolato e nelle pene. È l'incessante azione positiva che oppone al male il bene.
«...I mezzi tecnici: stampa, cinema, radio, televisione, dischi..., quando sono posti a servizio del male compiono una vera strage di anime; tale spettacolo accende nel cuore dell'apostolo un'intensa fiamma di zelo.
La parte positiva (della riparazione) consiste nell'esercizio diretto dell'apostolato delle edizioni: opporre stampa a stampa, pellicola a pellicola, radio a radio, televisione a televisione. Il che significa opporre la verità all'errore, il bene al male, Gesù Cristo a satana (...).
I nostri Discepoli... aggiungono e sostituiscono ai lavori vari l'apostolato, riparando in modo particolare i danni di coloro che convertono i doni di Dio, secondo il progresso umano, contro Dio stesso, contro le anime, la Chiesa, Gesù Cristo Divino Maestro...»

(«San Paolo», aprile 1962).

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