giovedì, novembre 07, 2024

Fondatore

 

Carissime Annunziatine,

 
il 26 novembre celebriamo la memoria del nostro amato Fondatore. Sono ormai 53 anni che l’anima di don Alberione ha lasciato alla terra la sua “povera carcassa” per raggiungere il desiderato Paradiso ove, secondo le sue parole, si sarebbe occupato «di quelli che adoperano i mezzi moderni più efficaci di bene» (AD 2).

Siamo certi, essendo anche stato proclamato beato dalla Chiesa, che la sua intercessione sempre accompagnerà la “mirabile Famiglia paolina” che – pur riconoscendo con le nostre incapacità e miserie – ha una grande missione da svolgere verso tutta l’umanità.

Come san Paolo siamo debitori del dono di grazia ricevuto (cfr. Rm 1,14; 1Cor 9,16). Quanto ricevuto in dono non solo deve manifestarsi nelle opere di bene, ma anche traboccare in vitale testimonianza.

Il beato Alberione, in “Abundantes divitiae” ed in altri scritti, si definisce “indegno servo fondatore” della Famiglia Paolina quando considera quali ricchezze Dio ha profuso in essa e quali tesori di grazia sono stati donati ai paolini e alle paoline per essere ridonati all’umanità intera. Inoltre suggerisce di considerare come “padre, maestro, esemplare, fondatore” san Paolo Apostolo.

Viene spontaneo allora chiedersi: don Alberione è “fondatore” oppure no?

I fondatori

In realtà dovremmo prima domandarci cosa intendiamo con la parola “fondatore”. Lungo i secoli il termine “fondatore” è stato usato per indicare realtà molto differenti. I monasteri che erano sorti con le donazioni economiche o di terre, designavano come fondatore quel benefattore. A volte è la stessa persona che fonda il monastero nelle sue proprietà (come san Gregorio Magno sull’Aventino, o come san Benedetto di Aniane).

Il termine “fondare” ha quindi sia un riferimento concreto che spirituale. Ma non sempre i due termini coesistono nella stessa persona.

Anche il termine “padre/abba” (con il parallelo femminile “madre/amma”) viene usato nel senso di “fondatore” nei confronti di coloro che sono stati discepoli e continuatori dell’opera, dai Padri del deserto sino ad oggi. San Benedetto di Norcia ne è forse il più celebre esempio.

Ma ovviamente in senso “carismatico”, come ci esprimiamo oggi, tendiamo a tralasciare gli aspetti materiali e contingenti per considerare gli aspetti spirituali, quelli che indicano il sorgere di un carisma specifico. In questo senso fondatore è  colui che in modo unico ed esclusivo è portatore o mediatore di un carisma specifico.

Così san Giovanni Bosco è “fondatore” dei Salesiani e delle Salesiane. È interessante che egli indichi come termine ideale un modello precedente: san Francesco di Sales.

Infine va osservato come nel lessico alberioniano il vocabolo “fondatore” viene usato poco. Lo troviamo quasi solo in due casi: nel senso di fondatore di ordini (es. dei benedettini, ecc.), ma più spesso lo usa in senso teologico per indicare Dio o Cristo come fondatore della Chiesa.

Il Primo Maestro ragiona in modo simile a don Bosco. Ma ci offre come modello a cui fare riferimento e da imitare l’Apostolo delle Genti. Non solo i suoi scritti sono preziosi ed illuminanti per ogni cristiano, ma addirittura sono imprescindibili per la stessa Liturgia. Inoltre lo dobbiamo imitare perché Paolo stesso ci esorta in tal senso. Non esiste un modello più alto di san Paolo che ci insegni ad imitare e a lasciar formare in noi il Maestro Divino.

Alberione padre e fondatore

Ne possiamo concludere che don Alberione è nostro fondatore storico ed unico mediatore del carisma, ma insieme dobbiamo considerare come maestro e modello e fondatore san Paolo apostolo. A lui don Alberione si è ispirato, dei suoi scritti si è nutrito ed a noi suoi figli ha insegnato a fare altrettanto: ad essere dei piccoli e delle piccole “Paolo”, e ad ardere come lui.

«Egli si è fatta la Società San Paolo di cui è il fondatore. Non la Società San Paolo elesse lui, ma egli elesse noi; anzi ci generò: “sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo” (1Cor 4,15). Se San Paolo vivesse, continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio, lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini d’ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, cine, radio, televisione. [...] Egli dice ai paolini: Conoscete, amate, seguite il Divino Maestro Gesù. “Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1Cor 11,1). Questo invito è generale, per tutti i fedeli e devoti suoi. Per noi vi è di più, giacché siamo figli” (ACV 62-62, 1953).

Ma va anche riconosciuto che noi siamo figli e figlie di don Alberione. Non possiamo arrivare a comprendere e imitare san Paolo se non passando dal Primo Maestro che è per noi maestro, modello, fondatore e padre.

In “Abundantes” lo esprime con queste parole: «... anche se, perché più anziano, dovette prendere dal Signore e dare agli altri. [...] Così intendo appartenere a questa mirabile Famiglia Paolina: come servo ora ed in cielo; ove mi occuperò di quelli che adoperano i mezzi moderni più efficaci di bene: in santità, in Christo [et] in Ecclesia» (AD 2)

Le parole “dovette prendere da Dio e dare agli altri” rivendicano la sua mediazione, da cui non possiamo venir meno. Ed insieme ci ricordano che il nostro imitare non deve fermarsi al livello terreno ma fino a modellarci sul Cristo Maestro predicato e testimoniato da san Paolo, predicato e testimoniato da don Alberione.

Oggi don Alberione se dovesse ripresentare il suo ruolo verso la Famiglia Paolina ancora direbbe: “quale indegno figlio, ma chiamato a dar vita ad una   famiglia religiosa voluta dal Cuore Trinitario, Dio Uno e Trino, ho profuso ciò che mi è stato donato e quale ministro Sacerdote prendendo e invitando i figli e le figlie a vedere in San Paolo un modello e Padre ho sollecitato e sollecito i miei figli, le mie figlie a far tesoro di ciò che l’Apostolo delle genti nei suoi scritti, ma soprattutto nella sua vita è vero insegnamento per vivere il nostro dono, il nostro carisma per poter con lui dire: mi sono fatto tutto a tutti e il mio vivere è Cristo, non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”.

Don Gino


sabato, settembre 14, 2024

L'Annunciata

 L’Annunciata di Antonello da Messina e libro d’arte


L’ANNUNCIATA


Opera fondamentale della pittura rinascimentale, capolavoro assoluto che accentua, rispetto ai modelli fiamminghi, l’attenzione alla fisionomia e alla componente psicologica, raggiungendo un completo realismo.

L’angelo, sorprendentemente, non vi compare, ma la sua presenza si percepisce dalla luce che illumina il volto della fanciulla e dal movimento delle sue mani: tale assenza, teologicamente innovativa, unita alla posa di Maria, causa a chi guarda il dipinto una leggera tensione in un’atmosfera coinvolgente.

Colta nel primo attimo del fatale annuncio, Maria è avvolta in un mantello azzurro che incornicia armoniosamente l’ovale perfetto del suo viso, e mentre con la mano destra esprime la sua sorpresa come a voler fermare l’angelo, con la sinistra si stringe al petto il mantello quasi inconsapevolmente, mostrando un’espressione dolce e intensa, in un’estrema naturalezza complessiva dei movimenti e di tutto il busto. Si intravede anche l’abito rosso coperto dal mantello.

Il viso ed il corpo sono frontali, il suo sguardo è rivolto in basso a destra, mentre alla sua sinistra ha un leggio con un libro aperto e le pagine sollevate. Il fondo è scuro e privo di particolari.

Su questo libro – evidente allusione ad una sacra, profetica scrittura – esistono molte interpretazioni, anche fantasiose e anacronistiche: la più affascinante è invece l’ipotesi che le pagine sarebbero sfogliate per la presenza dello Spirito Santo o Ruah in ebraico, che nel suo senso primario significa soffio, aria, vento, respiro, sostituendo così la più tradizionale colomba bianca della simbologia.

Maria qui non è ancora la Madonna, ma semplicemente una fanciulla, celestiale nelle vesti e nell’aspetto ma senza alcun segno di divinità: né aureola, né angeli svolazzanti o adoranti, solo una giovane donna che, intenta a pregare nella penombra della propria esistenza, improvvisamente scopre che in lei si sta compiendo un’opera divina, nei momenti prima del suo « Eccomi… » (Lc 1,38).


“Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile ed alta più che creatura”

(Par.-XXXIII, 1-2)

mercoledì, settembre 11, 2024

Agenda Paolina

 Introduzione all’Agenda Paolina 2025


Dopo l’anno della Preghiera (2024), in cui Papa Francesco aveva invitato la Chiesa e il mondo intero a vivere in preparazione al 2025, eccoci al tema proprio del Giubileo: la speranza! E veramente c’è bisogno di speranza, sempre, in ogni tempo, tanto più oggi con le molte situazioni difficili e delicate che stiamo vivendo a livello internazionale, con guerre e tensioni in molte parti del mondo. Portiamo tutti nel cuore il desiderio di pace, in cui si possa gustare il dono della vita, con tanta gratitudine e gioia.

La speranza è la virtù che ci aiuta a vivere la quotidianità, ci dà coraggio nell’andare avanti anche quando le cose non sono facili e spesso si affacciano nuvoloni all’orizzonte. Speranze quotidiane, piccole, che danno il loro contributo. Ma quella che sostiene tutte queste piccole speranze e tutto il resto è la “grande speranza”, quella della fede, della fiducia in Dio, il quale dà solide fondamenta e struttura a tutto l’edificio della nostra vita, promettendoci fin d’ora la partecipazione alla pienezza di vita in Lui, la vita stupenda dei figli di Dio.

L’Agenda Paolina di quest’anno, assieme a tanti altri pensieri proposti, contiene molte brevi riflessioni del Beato Alberione sulla speranza, rivelando quanto importante è questa virtù per il nostro Fondatore, il quale è stato illuminato nella notte famosa della fine del XIX secolo. Egli ha vissuto sotto questa luce che gli indicava il cammino e gli dava forza per realizzare la missione affidatagli, facendolo protendere continuamente in avanti, verso il futuro, pieno di speranza, per raggiungere e far raggiungere la meta ultima: Dio.

Quest’anno, mentre portiamo nel cuore e nella preghiera tutta la Famiglia Paolina, voluta da Dio per mezzo del Beato Alberione, ricordiamo nella nostra preghiera in modo particolare le nostre sorelle Figlie di San Paolo nel 120° anno di fondazione, nonché l’anno in cui celebreranno il 12° Capitolo Generale. Chiediamo a loro favore anche l’intercessione del Beato Giaccardo, di cui ricorre quest’anno il 40° dalla proclamazione della sua venerabilità.


Don Vito Spagnolo, SSP

paulus.net

venerdì, settembre 06, 2024

Preghiera di don Amorth

 

SIGNORE, TU SEI COSI' GRANDE E IO SONO NIENTE


Signore, Tu sei così grande e io sono niente.
Mi appari tanto in alto, distante, mentre io sono qui, solo..
Il tempo passa e ogni giorno mi ritrovo più cattivo.
Che te ne fai di me, Signore?
Mi sembra così lontana l'innocenza di quando ero fanciullo e aspiravo a farmi santo.
Invece solo i miei difetti sono cresciuti con l'età.
Non ti sei ancora stancato di me?
Quanto paziente sei, Signore!
Credo alla tua pazienza infinita.

I miei capelli sono ormai bianchi e le rughe mi solcano il viso;
non ho combinato nulla di buono.
Perché mi hai chiamato?
C'erano tanti altri immensamente
migliori di me.
Ma Tu scegli chi vuoi, e non ti penti mai, anche se continuo a deluderti.
Mi sento sempre peggiore,
ma Tu sei buono,
divinamente buono.

Anche se tutta la mia vita è un fallimento, ho capito che Tu mi ami lo stesso.
Questo sì: l'ho capito, l'ho toccato con mano ogni momento.
Meriterei solo i tuoi rimproveri e di essere cacciato via da Te.
Ma Tu non lo fai; e non posso
pensare al Tuo sguardo
se non come ad occhi dolcissimi di madre verso il suo bambino.
Dentro di me e intorno a me vedo
tante cose crollare.

Forse solo questo mi ha insegnato
la vita: a rivolgermi a Te,
a credere nel Tuo amore e nella Tua misericordia inesauribile.
Mai mi rifiuti, e saresti il solo
ad averne diritto;
mai mi condanni, e sei il solo
a poterlo fare.
Tu ancora ti fidi i di me, e sai quanto ogni volta ti tradisco.

Prometto e non mantengo; m'impegno
e non osservo;
amo i miei fratelli quando sono lontani,
ma con loro mi comporto con durezza.
Invece Tu sei tanto mite con me.
Come fai a sopportarmi?
Eppure so che quando tutti mi lasciano,
Tu resti fedele. Se sparlano di me,
Tu mi difendi.  

Io ti dimentico continuamente,
ma non per questo Tu cessi
di avere di me ogni cura.
Di Te non capisco nulla.
Il Tuo amore mi confonde;
il Tuo comportamento mi sconcerta.
Prendimi come sono,
perché non ho che Te.
Amen.

D. Amorth

Non inviatemi né congratulazioni né condoglianze. Non posso rispondere
a 400 lettere.
Piuttosto pregate per un povero prete.
(Siate Perfetti ottobre 1976)

venerdì, agosto 02, 2024

Schegge di luce


La passione per citazioni, aforismi, proverbi di don Vito Spagnolo, Delegato del nostro Istituto dal 2005 al 2017, è continuata lungo gli anni ed è approdata ad una raccolta corposa pubblicata dalla Casa Editrice Elledici con il titolo di “Schegge di luce”. Suggerimenti preziosi organizzati proprio come un percorso di vita, un cammino di crescita che, partendo dalla Creazione, tocca la realtà concreta di ciascuno, con tutte le sue ricchezze e povertà, slanci e contraddizioni.

Le affermazioni sulla gioia, sull’ottimismo, sulla speranza nei momenti tristi od oscuri della vita possono essere di grande aiuto.

La brevità di una frase esprime con più forza il suo significato tanto da farlo sembrare più essenziale, più alto, più ricco. Si incide meglio nella mente soprattutto quando ha qualche riferimento con la nostra preoccupazione o il nostro stato d’animo del momento. Ci colpisce, rimane in noi, la ripetiamo e in essa ritroviamo fiducia.

A partire dal senso di stupore e meraviglia per la bellezza della Creazione, i vari capitoli offrono citazioni su innumerevoli tematiche: l’ascolto, la nostra umanità, la libertà, la responsabilità, le relazioni e il dialogo, l’amicizia e il perdono, l’ateismo e la religione, il dialogo con Dio.

In questa avventura stupenda che è la vita, segnata dal tempo che passa, l’uomo è chiamato a cercare la verità, un senso, una meta; soprattutto ad approfondire la conoscenza di se stesso, che richiede però una buona dose di solitudine e silenzio.

Un cammino che può portare alla scoperta del Trascendente, dell’Altro e dell’Oltre, in una sempre maggiore apertura a Dio, all’incontro con Lui attraverso il Figlio suo Gesù. Preceduti in questo cammino di ricerca da uomini e donne che hanno fatto la storia, che hanno avuto il coraggio di trasformare in gradini le pietre di ostacolo incontrate lungo la via, di contemplare nell’oscurità della notte la luminosità delle stelle.

R. G.

Altri libri di don Vito Spagnolo

martedì, luglio 30, 2024

Agnellini e Pecore

 

Gli agnellini sul petto


AGNELLINI E PECORE

Carissime Annunziatine,

durante il tempo estivo è facile intravvedere, specie in montagna, qualche gregge al pascolo.       Ma ormai dalle nostre parti è difficile vedere pastori che guidano il gregge, e se si vedono sono extracomunitari...

L’immagine del pastore con il suo gregge nei pascoli, dovrebbe farci pensare a Gesù Buon Pastore.

Nella Bibbia si parla di “gregge” e “pastore” in contesti molto differenti, da Abele sino agli ultimi profeti, senza dimenticare la figura di Davide.
Frequente è anche l’uso del termine “agnelli”, quasi sempre riferito al sacrificio. Nel Nuovo Testamento è l’Apocalisse che usa il termine “agnello” come immagine di Cristo, riprendendo l’aspetto sacrificale ma ormai vivo e vittorioso.

Le due nature di Cristo nostro salvatore

 Nella predicazione cristiana fin dai grandi Padri della Chiesa – per non parlare della iconografia antica – l’immagine più usata per Gesù nostro Salvatore è quella del Buon Pastore che porta sulle spalle la pecorella smarrita. Essa fa riferimento alla parabola del vangelo di Luca (cfr. Lc 15,3-7) ed in particolare il versetto dove si dice: «Quando la trova, se la mette sulle spalle contento».


Questa immagine è talmente comune che diamo per scontato di conoscerla. Ma noi oggi non abbiamo più l’esperienza concreta di vedere un gregge da vicino, toccare gli agnellini appena nati, saper distinguere la morbidezza della loro lana e i loro giochi, neppure abbiamo visto come scorazzano e saltano di gioia gli agnelli più grandi... non conosciamo più la relazione tra pastore e gregge.

L’immagine del pastore che reca sulle spalle una pecorella, oltre al riferimento alla parabola di Luca, ci deve ricordare le due nature di Gesù, quella umana e quella divina. La natura divina che è raffigurata nel pastore sorregge e riconduce all’ovile la nostra natura umana, che viene indicata nella pecorella ritrovata e posta sulle sue spalle. 
Prima di vedere l’immagine agreste e romantica dovremmo cogliere quella teologica e salvifica, che sottolinea la differenza di natura tra Cristo e noi, ma che rappresenta la dimensione spropositata della salvezza offerta all’uomo dalla misericordia divina.

Il gregge segue il pastore

 A noi urbanizzati è utile anche comprendere come si comporta un gregge con il suo pastore. Quando mio padre era giovane, sui 16 o 17 anni, pascolava un gregge di pecore sul nostro terreno. Raccontava come sono affettuosi gli agnellini e come amano giocare... Però le pecore puzzano... Così d’estate spesso si divertiva a fare il bagno al gregge.

Come faceva a convincere un gregge a lavarsi? Prendeva un agnello sulle spalle e si dirigeva verso il fiume che sta in fondo al podere. Allora l’acqua era limpida e la profondità durante l’estate non superava mai il mezzo metro.
Subito la pecora madre seguiva l’agnello, e pian piano le altre pecore, prima una o due e poi l’intero gregge seguiva pastore, agnello e pecora madre. Attraversava l’acqua e giungeva all’altra riva. Dopo aver  lasciato il gregge a riposare un po’ e a brucare sull’altra riva, rifaceva il percorso inverso. E di nuovo la pecora seguiva l’agnello sulle spalle e così tutto il gregge ritornava al pascolo consueto.

Gli agnellini sul petto... dolcemente le pecore

 Un secondo brano biblico molto importante è quello di Isaia 40,11: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
L’esempio naturale da cui viene questa immagine di Isaia – che peraltro non ha altri citazioni bibliche simili – lo abbiamo già presentato prima. Anche nel testo di Isaia bisogna comprendere il brano in diretta relazione con Cristo. Dove Gesù porta sul petto un piccolo? E dove conduce pian piano le pecore madri?
In realtà sempre fa così. Gesù con dolcezza prende in braccio i bambini, anche quando i discepoli lo rimproverano (cfr. Lc 18,16), perché il regno dei Cieli è per coloro che diventano come bambini (cfr. Mt 18,3). Per ogni nuovo discepolo, per ogni vocazione all’inizio si comporta così, con dolcezza ci appoggia sul suo seno, perché da lì possiamo attingere fiumi d’acqua viva (cfr. Gv 7,38).

Ma quando si diventa grandi, come discepoli e come cristiani, allora ci invita a prendere la nostra croce e a seguirlo: «Poiché il mio giogo è soave e leggero è il mio peso!» (Mt 11,30). Solo in questo modo si generano nuovi cristiani e solo in questo modo si generano nuove vocazioni.

Non viene meno la parola di Genesi «con dolore partorirai figli» (Gen 3,16), ma Gesù ci dice anche che bisogna rinascere nello Spirito. È necessaria questa generazione spirituale che costa sacrificio.
 Infatti questo è l’atteggiamento di san Paolo verso coloro che non vogliono ascoltare la parola di Gesù: «Ho un grande dolore, un travaglio continuo nel mio cuore» (Rm 9,2). Ma ancora di più rivolgendosi ai Galati che lo fanno penare san Paolo dice: «Figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto, fino a che Cristo non sia formato in voi» (Gal 4,19).

Non a caso don Alberione ha fondato anche l’associazione “Preghiera sofferenza e carità per tutte le vocazioni”. Per generare e far crescere nuove vocazioni bisogna che le pecore madri seguano il Buon Pastore sulla via della Croce.
Infine, quando Gesù nell’Ultima Cena lascia appoggiare Giovanni sul suo petto (cfr. Gv 13,23), non porta forse un agnellino (era il più giovane degli apostoli) sul suo petto, così che inebriato dai palpiti d’amore del suo Maestro divino non si lasci spaventare da nessuna cosa, poiché nulla ci può separare dall’amore di Cristo (cfr. Rm 8,35).

E quando Gesù sotto la croce chiede a sua madre di prendersi cura del “discepolo” dicendo «ecco tuo figlio» (cfr. Gv 19,26-27), invita Colei che ha partorito il Figlio Unigenito senza dolore a generare nella sofferenza noi figli imperfetti e peccatori. Così possiamo seguire il nostro Salvatore oltre la Croce per giungere ai pascoli della vita eterna dopo che, lavati dai nostri peccati ed immersi nel suo sangue salvifico, entreremo con lui nella Gloria.

 E se abbiamo paura di seguire direttamente l’Unigenito di Dio, allora come il gregge, seguiamo la “pecora madre” che con dolcezza è guidata dal Buon Pastore, affinché tutti i suoi figli raggiungano la meta eterna.

Don Gino

 

domenica, luglio 21, 2024

La testimonianza

 

Vie impensate per il Vangelo nel mondo della comunicazione

Da consacrata nell’Istituto Maria Santissima Annunziata, ho fatto mio l’obbiettivo del beato Giacomo Alberione: “ Portare Cristo all’u omo e portare l’uomo a Cristo”.
Per concretizzarlo, ho cercato di “scrutare i segni dei tempi” , conscia di dover essere apostola nella normalità della vita di docente, ma con il sentire di Paolo: “Guai a me se non evangelizzo”. Così, nel 1976, inserita in un gruppo impegnato a promuovere e diffondere la lingua sarda, proposi un programma religioso.
Il Direttore della radio locale era anticlericale, ma, quando, dopo tre anni, come gruppo della “Mattinata il lingua sarda” (dalle 8 alle 15) siamo passati ad un’altra radio, fece continuare l’annuncio del Vangelo, da un’altra persona.
Non durò a lungo, ma ritengo sia molto significativo.
L’evangelizzazione, in radio, ogni domenica, andò avanti per 23 anni. Cambiarono le leggi e le radio locali a carattere culturale chiusero.
Seguendo il consiglio dell’Alberione  ( “ Non sempre si può parlare di Cristo, ma sempre si può parlare cristianamente” ) feci un altro programma radiofonico, a carattere storico sociale, di 106 puntate.
Per diversi decenni, collaborai al settimanale diocesano Libertà.
Nel tempo della pandemia scrutai ancora: nacquero dei video per i nuovi mezzi di comunicazione. Poi:  Conversazioni con le donne della Bibbia, in carta e audio.
Ora diffondo brani biblici abbinati a proverbi Sardi, gemellati, uno a Biella e l’altro a la Plata. Rendo grazie a Dio!

Mariantonia Fara  

Da: rivista  Credere nr 29 del 21 luglio 2024 ed.San Paolo