venerdì, dicembre 05, 2025

Venite Adoremus


Carissime Annunziatine,


a Natale celebriamo il mistero di tenerezza dell’infinito amore di Dio, che si fa bambino affinché ci avviciniamo a Lui senza timore. L’amore scaccia il timore (cfr. 1Gv 4,18), per questo ci facciamo vicini alla Madre del Divino Amore affinché anche noi possiamo adorarLo. Nella liturgia di Natale troviamo cinque adorazioni che ci mostrano differenti e progressivi modi di accostarci al Signore ed adorarlo, cioè riconoscere la sua divinità redentrice: Magi, Pastori, Angeli, Giuseppe e Maria. 

L’adorazione dei Magi 

Nel Vangelo di Matteo non si racconta della nascita di Gesù, ma che «dopo che Gesù nacque a Betlemme di Giudea...» arrivano a Gerusalemme i Magi (che rappresentano le genti). Essi affermano: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Hanno chiaro desiderio di riconoscere la sua grandezza (cioè adorarlo) ma senza le Scritture non lo sanno riconoscere. Così è anche per noi: abbiamo necessità di scrutare e farci annunciare quanto dicono le Scritture per riconoscere chi è veramente il Cristo.
Per questo arriviamo a Natale col Tempo di Avvento nel quale ci viene narrato come riconoscere il Signore. Anche se poi rimane sempre lo stupore di come Dio realizza le sue promesse.
«Ed ecco, la stella... si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino ... Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. 
Poi aprirono i loro scrigni...» (Mt 2,9-11).
Questa adorazione ci insegna come tutti gli uomini di “buona volontà” desiderano riconoscere e dare il giusto culto a Dio, ma senza la conoscenza delle Sante Scritture non si può giungere ad adorare il Signore.
Inoltre non lo si può trovare se non si entra dove Egli abita, cioè nella Chiesa. Il segno per riconoscere dove abita è l’espressione: “con Maria sua madre”. Infatti la nostra adorazione non sarebbe tale, se non fosse in comunione con la Chiesa e con Maria, che è anche madre nostra.

L’adorazione dei Pastori

L’evangelista Luca racconta dell’adorazione dei pastori (che rappresentano il popolo eletto), cioè di coloro che vegliano nella notte facendo la guardia. A loro appare un angelo che li avvolge con una grande luce. A coloro che conoscono le promesse annuncia: «oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce...» (Lc 2,11-12). Quindi «Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 1,16). La vita di Gesù si colloca tra due città: Betlemme (cioè la “casa del pane”) e Gerusalemme: ambedue sono città di Davide”. I Magi devono passare prima da Gerusalemme, i pastori possono arrivare direttamente alla grotta.
Con i pastori impariamo a fare l’adorazione di Gesù incarnato per noi, penetrando molto di più nel Mistero di Dio che si rivela. Se la stella dei Magi rappresenta la luce naturale della conoscenza, con i pastori si riceve una luce soprannaturale, che a partire dalla conoscenza delle Scritture permette di vedere anche quello che gli occhi non vedono. I pastori tornano «glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2,20). Quando la luce e la grazia dello Spirito ci avvolgono, non solo la nostra adorazione riconosce il Signore ma poi torniamo nella nostra vita quotidiana portando il frutto di quanto contemplato. Adoriamo l’Eucarestia e, vivificati da questo pane di vita, glorifichiamo e lodiamo Dio nella nostra vita, sia di notte (cioè nella prova) sia di giorno (cioè nella pace).

L’adorazione degli Angeli

In Luca troviamo accennata anche l’adorazione degli Angeli. È intrecciata con il racconto dei pastori. Essi proclamano «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). Gli Angeli ci mostrano come il Cielo scende ad adorare Dio lì dove Dio si trova... anche quando nasconde la sua Gloria, affinché gli uomini possano trovarlo. Essi sono nella luce di Dio e cantano con stupore come Dio realizza la sua parola: neppure loro potevano immaginare come si potesse realizzare la salvezza. Da loro impariamo ad adorare il mistero di Cristo nello splendore della Gloria e pienamente aderendo alla sua volontà.

L’adorazione di Giuseppe 

Giuseppe «era della casa e della famiglia di Davide» (Lc 2,4), è colui che come in un sogno – allo stesso modo dei Patriarchi – contempla l’avverarsi delle Promesse annunciate dai Profeti. Come agli antichi padri e ai profeti anche a lui non è concesso di vedere sulla terra il pieno compimento. San Giuseppe infatti muore prima che Cristo porti a compimento il mistero della redenzione sulla Croce. Giuseppe (come il Giuseppe figlio di Giacobbe) è l’uomo dei sogni. Nei sogni vede chiaro la volontà di Dio. Nella sua vita ha visto crescere il “figlio della Vergine” nella sua umanità, ma solo con gli occhi della fede sa che è vicinissimo al Dio increato. Dio si nasconde davanti ai suoi occhi... ed insieme si lascia accogliere tra le sue braccia. Il Potente “più grande dei Cieli” desidera che san Giuseppe lo protegga, lo accompagni su di un asinello in Egitto, affinché si possa compiere la parola: «dall’Egitto ho chiamato mio Figlio». Con Giuseppe siamo invitati a fare una adorazione più profonda, quando la vicinanza del mistero di Dio diventa oscurità all’intelligenza ed anche alla fede. Giuseppe, che ha speso tutta la sua vita per Gesù e Maria, realizza quella adorazione di Cielo e Terra che si intrecciano, anche se ancora nella fede.

L’adorazione di Maria

Infine in questo cammino di avvicinamento a Gesù, che ogni adorazione significa, contempliamo l’adorazione di Maria. Maria adora nella vicinanza più grande che una creatura possa fare. L’adorazione di Maria si rinnova in quella della Chiesa quando il sacerdote, dopo la Consacrazione, si genuflette davanti al pane e al vino che sono diventati Corpo e Sangue di Cristo. Maria adora il Figlio da lei partorito, perché quale “Vergine Madre del suo Figlio” lo riconosce suo Signore d’amore infinito, da accogliere con tutto l’amore possibile di lei creatura. Ed insieme, ricolma della grazia, racchiudere in sé ciò che i Cieli dei Cieli non possono contenere... Ma anche gli occhi di Gesù Bambino sono ricolmi di gioia nello specchiarsi in quelli di colei che ha detto a Lui un “sì” senza fine. 


don Gino

sabato, novembre 15, 2025

Sant'Agata Maggiore

 

SANT'AGATA MAGGIORE - RAVENNA

La chiesa fu innalzata nel V secolo d.C. lungo il corso del fiume Padenna (ora scomparso), un antico ramo del fiume Po, il cui corso ricalcava in parte l’attuale Via Mazzini. Come anche quella più famosa di San Vitale, fu edificata probabilmente sotto il vescovo Pietro II (494-519), il cui monogramma campeggia ancora oggi nella navata centrale, anche se è il vescovo Giovanni I (477-494) da ritenersi il vero fondatore. L’abside fu probabilmente edificata nel secolo successivo, sotto il vescovo Agnello (556-569), grazie al contributo di Giuliano l’Argentario, banchiere e mecenate bizantino, che negli stessi anni partecipò finanziariamente alla costruzione di importanti fabbriche come quella di San Vitale, Sant’Apollinare in Classe e San Michele in Africisco. Nel corso del tempo la chiesa ha subito numerose modifiche. Nel prato che la circonda, un tempo cimitero, si trovava un quadriportico, sostituito nel XVI secolo da un campanile circolare (1560). A seguito di un terremoto, nel 1688 la decorazione musiva dell’abside andò distrutta e il pavimento fu poi rialzato di 2.50 metri. Nel corso dei restauri condotti tra il 1913 e il 1918 da Giuseppe Gerola furono aggiunti alla facciata il pregevole protiro in pietra bianca, proveniente dalla ex Chiesa di San Niccolò, coevo della torre campanaria, e la sovrastante bifora, riportando l’intero edificio all’originale atmosfera paleocristiana. Oggi, tra la sede stradale di via Mazzini e la facciata della chiesa, si può ammirare un piccolo giardino quadrangolare che in parte ricalca il perimetro dell’antico quadriportico. Al suo interno si intravedono resti di colonne, oltre quattordici antichi sarcofagi, originariamente conservati all’interno della chiesa.


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venerdì, novembre 14, 2025

Santi Martiri Ravennati

 

14 novembre

SANTI BRUNO, BENEDETTO, GIOVANNI  martiri

Memoria

Proprio della Chiesa di Ravenna-Cervia



Giustamente la Chiesa di Ravenna-Cervia onora i tre santi martiri Bruno, Benedetto e Giovanni quali martiri ravennati, uccisi come missionari della fede in Polonia Agli inizi del sec, XI  : missionari inviati inviati in quelle terre slave dal ravennate Romualdo e partiti dall’eremo del Pereo, nelle vicinanze di Ravenna dedicato al al martire Adalberto. Benedetto e Giovanni, italiani furono martirizzati nell’eremo eretto per loro da Bolesslao non lontano da Poznan, assieme ai confratelli polacchi Isacco, Matteo e Cristiano, nella notte tra il 10 e l’11 Novembre dell’anno 1003;  erano partiti dal Pereo nel 1001. Bruno, martire di nazione tedesca,  con loro associato nel culto perché fu sempre con loro pure associato quale discepolo di Romualdo a Ravenna e particolarmente al Pereo. Dei cinque martiri trucidati presso Poznan nel 1003 fu lo stesso Bruno a scrivere la vita e il martirio nel celebre testo che appunto va sotto il titolo di Vita Quinque Fratrum.
San Bruno, già cappellano alla corte di Ottone III incontra san Romualdo con questo stesso imperatore e assume il secondo nome di Binifacio proprio nella sua professione religiosa al Pereo. Il 9 maggio 1009, ai confini della Prussia e Lituania, fu trucidato a causa della missione per la fede con diciotto altri compagni. Onorando i suoi martiri nell’Europa orientale, come disse Papa Giovanni Paolo II a classe nella Visita Pastorale del 1986, la Chiesa ravennate, nelle terre dei tre fiumi della cristianità europea, Po, Reno, Danubio, trasmette l’unità della fede affermando le radici cristiane di tutta l’Europa stessa,
 “ dall’Atlantico agli Urali “: l’Oriente bizantino, il mondo slavo, i Latini e i Germani dell’Occidente.


San Benedetto, Giovanni, Matteo, Isacco e Cristiano 

Monaci, protomartiri della Polonia

Festa: 14 novembre

 

† Kazimierz, Polonia, 12 novembre 1003

Benedetto, di origine campana, è venerato come martire ed evangelizzatore della Polonia. Ma la sua è una storia del tutto particolare. Nato infatti a Benevento intorno all'anno 970, fu oggetto di un caso di simonia: appreso,  

infatti, della sua vocazione i genitori si adoperarono per farlo ordinare a soli 18 anni e divenire subito canonico. Ma il giovane Benedetto scombinò i piani: capita la gravità di quanto gli era capitato, prima si ritirò in un monastero e poi visse da eremita sul monte Soratte. A cambiare la sua vita fu l'incontro con san Romualdo a Ravenna. Questi, su invito dell'imperatore Ottone III, nel 1001 inviò Benedetto insieme al confratello Giovanni da Cervia a evangelizzare la Polonia. Qui i due iniziarono il proprio apostolato, insieme a tre novizi polacchi. Nel 1003 Benedetto e Giovanni conobbero infine il martirio a opera di alcuni rapinatori che volevano depredarli delle dieci libbre d'argento che il principe polacco Boleslao aveva loro consegnato come dono per il Papa. (Avvenire)

Martirologio Romano: Presso Kazimierz sul fiume Warta in Polonia, santi Benedetto, Giovanni, Matteo e Isacco, martiri, che, mandati ad annunciare la fede cristiana in Polonia, furono sgozzati di notte da alcuni briganti. Insieme con loro si commemora anche Cristiano, loro servo, impiccato nel recinto della chiesa.

Nonostante siano purtroppo sconosciuti al grande pubblico, i santi Benedetto, Giovanni, Matteo ed Isacco, monaci camaldolesi, sono stati i primi cristiani ad avere avuto il privilegio di testimoniare la loro fede versando il sangue in terra polacca. Esistono principalmente due fonti utili per ricostruire la vicenda di questi martiri: la prima è costituita dal racconto di San Bruno (o Bonifacio) di Querfurt, amico di Benedetto, che non appena apprese dell’accaduto raccolse numerose testimonianze in Polonia, mentre la seconda è di uno scrittore successivo, Cosmas di Praga.

Benedetto nacque a Benevento intorno all’anno 970. Scoperta la vocazione religiosa del figlio, i genitori riuscirono a farlo ordinare sacerdote all’età di soli 18 anni e divenire anche canonico. Ma il giovanissimo prete, compresa la gravità morale della situazione, desiderò espiare quella colpa prima ritirandosi in un monastero napoletano, poi intraprendendo la vita eremitica sul monte Soratte presso Roma e quindi a Montecassino. L’incontro che si rivelò decisivo per la sua vita fu però quello che ebbe con San Romualdo a Ravenna.

Qui il fondatore dei camaldolesi lo invitò ad entrare nel suo nuovo ordine e nell’ottobre 1001, su richiesta dell’imperatore Ottone III, lo prescelse per l’attività di evangelizzazione della Pomerania. Fu così che Benedetto, coadiuvato dal confratello Giovanni da Cervia e da tre novizi polacchi, Matteo, Isacco e Barnaba, iniziò febbrilmente il suo apostolato, non prima però di essere accolto calorosamente alla corte di Boleslao I in Polonia occidentale, ove poté meglio conoscere la cultura slava e la nuova lingua. Fu proprio il duca a donare loro un nuovo eremo a Kazimierz, presso Gniezno.

Proprio in tale eremo il 12 novembre 1003 si consumò il tragico eccidio: Benedetto, Giovanni, Matteo, Isacco ed il loro servo Cristiano furono uccisi da alcuni predatori pagani. Intenti a derubarli di dieci libbre d’argento che il principe polacco Boleslao aveva loro consegnato come dono per il Papa. Si salvò solamente il novizio Barnaba che aveva anticipato di qualche giorno il viaggio a Roma. Venerati subito come santi, l’eremo divenne meta di ininterrotti pellegrinaggi, anche se le loro reliquie vennero poi traslate Olomouc. Il pontefice Giulio II confermò il loro culto nel 1508 ed ancora oggi il Martyrologium Romanum commemora questi cinque intrepidi testimoni della fede nell’anniversario della loro morte

da: Santi e Beati


lunedì, ottobre 13, 2025

Famiglia Paolina e Istituti aggregati

 


Statuto - Natura e fine 2.2

La Società San Paolo è la congregazione "altrice" 
della Famiglia Paolina,
cf AD 35
***
Altrice

Altrice in Don Alberione

            1. Il significato di altrice va ricercato a partire dall’intuizione carismatica che Don Alberione ha avuto durante l’adorazione nella notte che divideva i due secoli (cf AD 15-19).

            Nella particolare luce che gli venne dall’Eucaristia, Don Alberione si sentì profondamente obbligato a fare qualcosa per il Signore e gli uomini del nuovo secolo (AD 15) e concepì un progetto storico-carismatico unitario, prima in forma generica (1900-1909) (cf AD 23), poi in maniera più precisa (cf AD 24).

           2. A questo scopo diede vita alla sua opera con le fondazioni: Società San Paolo, Figlie di San Paolo, Unione Cooperatori, Pie Discepole del Divin Maestro, Suore di Gesù Buon Pastore, Istituto Regina degli Apostoli, Istituti aggregati. Le varie Istituzioni costituiscono la Famiglia Paolina (cf AD 25, 33-35; UPS III, 184).

3. Una costante preoccupazione del Fondatore è stata quella di risolvere un problema che considerava fondamentale: «come conservare l’unità di spirito e insieme la indipendenza amministrativa e direttiva nella Famiglia Paolina» (AD 131).

            La risposta a tale problema è espressa nei testi seguenti: «Vi è stata stretta parentela tra esse, perché tutte nate dal Tabernacolo. Un unico spirito: vivere Gesù Cristo, e servire la Chiesa. Chi rappresenta tutti intercedendo presso il tabernacolo; chi diffonde come dall’alto la dottrina di Gesù Cristo; chi si a»costa alle singole anime.

            Vi è tra esse una stretta collaborazione spirituale, intellettuale, morale, economica.

            Vi è separazione per governo ed amministrazione; ma la Pia Società San Paolo è altrice delle altre (...).

            Vi è separazione: eppure esite un vincolo intimo di carità, più nobile del vincolo del sangue.

            Vi è indipendenza tra loro, ma vi è uno scambio di preghiere, di aiuti, in molti modi: l’attività è separata, ma vi sarà una cooperazione alle gioie e alle pene, ed al premio eterno»


«Tutti gli istituti considerati assieme formano la Famiglia Paolina.»   
       

Tutti gli Istituti hanno comune origine.
Tutti gli Istituti hanno comune spirito.
Tutti gli Istituti hanno fini convergenti.

Gli Istituti femminili godono di una “paterna assistenza” per parte del Superiore generale della Pia Società San Paolo» (UPS III, 185).

            4. La funzione altrice della Società San Paolo nel pensiero di Don Alberione è dunque «quella di mantenere l’intera Famiglia Paolina nello spirito genuino e proprio dell’istituzione» (Lettera di Don Giacomo Alberione alla SCRIS, 1-3-1956).

II Altrice nella Famiglia Paolina oggi

            5. Si ritiene il termine altrice intraducibile nel suo senso pieno e pertanto lo si conserva invariato.

a) Nella prospettiva di Chiesa-comunione

            6. La Famiglia Paolina avendo acquistato una maggiore consapevolezza di sé ha sentito l’esigenza di tornare a riflettere anche sul suo essere Famiglia nell’orizzonte della Chiesa-comunione. Non si può infatti parlare di altrice senza riferirsi all’unità della Famiglia Paolina inserita nell’unità della Chiesa, Popolo di Dio in cammino.

            7. La Famiglia Paolina, come la Chiesa, è innanzitutto dono che viene dall’alto. La sua unità scaturisce dalla comunione trinitaria; si vivifica e cresce costantemente nell’accoglienza contemplativa.

            8. L’unità della Famiglia Paolina, radicata nella comunione ecclesiale, ha uno specifico che chiamiamo “spirito paolino”: vivere Gesù Cristo Via, Verità e Vita, Maestro e Pastore e annunciarlo a tutti gli uomini con tutti i mezzi, in ogni tempo secondo il carisma proprio di ciascuna Congregazione (cf AD 132; Doc. III Incontro Gov. gen. FP, 1985). Da esso deriva una spiritualità biblica, liturgica, ecclesiale, con forte carica missionaria.

            9. La Famiglia Paolina, composta di donne e uomini in comunione di servizio del Regno, rende vivo e operante il carisma del Fondatore, in una dinamica di storia di salvezza, attraverso una pluralità di carismi.

            In forza del Battesimo, che ci rende partecipi del sacerdozio comune, e per la peculiare vocazione, ogni carisma diviene ministero a servizio della Chiesa, del mondo e della Famiglia Paolina stessa in uno scambio reciproco dei propri doni.

            La Società San Paolo poi, per il sacramento dell’Ordine, esercita verso la Famiglia Paolina il servizio dell’unità a livello profetico, regale e sacerdotale.

b) Nella sua funzione

10. La presenza  della Società San Paolo come altrice è parte integrante del progetto storico-carismatico del Fondatore, non perché i singoli Istituti siano carenti di qualcosa per esistere ed esercitare la propria missione, ma in quanto il progetto è concepito come Famiglia, cioè come unità organica di diversi carismi.

            11. La Società San Paolo esercita la funzione altrice attraverso un servizio di unità, di discernimento, di coordinazione dei carismi, e di animazione ministeriale.

            Nel servizio di animazione propone i valori evangelici a partire dalla Parola di Dio e dalla Liturgia e i valori carismatici della Famiglia Paolina.

            12. La funzione altrice della Società San Paolo si concretizza primariamente nel servizio svolto dal Superiore generale della SSP nei confronti di tutta la Famiglia Paolina (cf Cost. SSP 1984, 201, 201.1).

            Questo servizio consiste nel promuovere principalmente l’unità della Famiglia Paolina nella diversità dei singoli Istituti, rispettando e valorizzando il carisma di ognuno e la reciprocità uomo-donna.

            In particolare, a lui compete:

            - mantenere i rapporti scambievoli con i Governi generali delle altre Congregazioni della Famiglia Paolina;

            - convocare i Governi generali per l’Incontro annuale;

            - riunire le Superiore generali delle Congregazioni femminili per discernere e proporre insieme iniziative di animazione spirituale e apostolica a livello e a beneficio di tutta la Famiglia Paolina.


lunedì, settembre 01, 2025

Alberione in preghiera

 



La Preghiera nel pensiero del Beato

Don Giacomo Alberione fondatore

 Da un testo del 20 Agosto 1937

Necessità della preghiera

La preghiera per l'uomo, il cristiano, il religioso, il sacerdote è il primo e massimo dovere. Nessun contributo maggiore possiamo dare alla Congregazione della preghiera; nessuna opera più utile per noi della preghiera; nessun lavoro più proficuo per la Chiesa in un sacerdote della preghiera. L'orazione perciò prima di tutto, soprattutto, vita di tutto.

Può venire la tentazione: ho molto, troppo lavoro: ma il primo lavoro per te, il massimo mandato per un Sacerdote, il principale apporto alla Congregazione è la preghiera. Con illusione qualcuno forse cercherà di scusare la mancanza di orazione dicendo che è molto occupato. Ma è proprio questa la vera ragione? Oppure si trova soverchio il lavoro perché non precede la preghiera, per la quale facilmente si sbrigherebbero le altre occupazioni? Occupazioni? Ma la Chiesa, la Congregazione, l'anima nostra ci chiedono la preghiera, poi il rimanente in quanto possibile. Occupazioni? Ma non urgono in genere le altre, se non dopo questa. Occupazioni? Prima Dio, poi gli uomini. Occupazioni? Ma la vita delle altre opere è la grazia, perciò senza la preghiera faremmo opere morte. "Maledictum studium, apostolatum... propter quod relinquitur oratio". Dà sempre grande contributo ed è in vera attività, chi alla Congregazione e alla Chiesa dà la preghiera. Il lavoro senza l'adorazione, si riduce al "cimbalum tinniens" (1 Cor 13,1), cioè cose che forse impressionano all'esterno, ma non hanno vita né merito. Il nostro ministero è di sua natura soprannaturale come base e come sostanza e costituzione. Non ha diritto di comandare chi prima non ossequia Dio: non può consigliare o predicare chi prima non riceve la luce da Dio. Non educa, in quanto sta a lui, alla vita soprannaturale, chi non la vive interamente. "Io temo che tu mi faccia morire il malato, se prima dell'operazione chirurgica, non senti la Santa Messa", diceva il santo Cottolengo al dottor Granetti, medico della "Piccola casa".

Per ogni opera assicuriamo un bel contributo di preghiera; la preghiera è onnipotente: "Qualunque cosa domanderete ve la darà" (Mt 18,19; Gv 14,13: 1Gv 3,22; 5,14). Il primo Cooperatore, il primo Benefattore, il primo Amico e Protettore da assicurarsi è sempre Dio, principio di ogni bene: "Nisi Dominum edificaverit... custodierit... qui incrementum dat Deus" (Salmo 127(126),1). La Sacra Scrittura indica il Buon Sacerdote con il segno: "Eccet qui multum orat...". Il Divino Maestro "Factus est nostra oratio...". E' indicato San Paolo ad Anania da questo segno: "Ecce enim orat" (Atti 9,11). Nella vita sacerdotale chi fa il bene maggiore e più vitale e stabile è anche chi fa più preghiera schietta come l'insegna Gesù, nel discorso della montagna (Mt 6,5-15).

 da: Percorsi di Fede  / La Bibbia  /

Don Alberione fu un grande uomo d’azione, ma ben più grande lo fu dal punto di vista spirituale: trascorreva in preghiera dalle quattro alle sei ore ogni giorno. Si alzava molto presto al mattino: santa Messa, breviario, meditazione, preghiera… Prima di ogni decisione importante passava la notte in adorazione. Recitando le preghiere di don Alberione, autentiche e preziose perle, non solo porterai la preghiera nella vita, ma la vita nella preghiera.

don Vito Fracchiolla

 Preghiera a Maria, Madre della Chiesa e Madre della nostra fede 

 Aiuta, o Madre, la nostra fede!
 Apri il nostro ascolto ala Parola,
 perché riconosciamo la voce di Dio
 e la sua chiamata.
 Sveglia in noi il desiderio
 di seguire i suoi passi,
 uscendo dala nostra terra
 e accogliendo la sua promessa.
 Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore,
 perché possiamo toccarlo con la fede.
 Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui,
 a credere nel suo amore, soprattutto
 nei momenti di tribolazione e di croce,
 quando la nostra fede è chiamata a maturare.
 Semina nela nostra fede la gioia del Risorto.
 Ricordaci che chi crede non è mai solo.
 Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù,
 affinché Egli sia luce sul nostro cammino.
 E che questa luce dela fede
 cresca sempre in noi,
 finché arrivi quel giorno senza tramonto,
 che è lo stesso Cristo,
 il Figlio tuo, nostro Signore!

Papa Francesco

lunedì, agosto 18, 2025

Chiesa Angelo Custode

Interno Chiesa  dell' Angelo Custode a Ravenna

                                        

Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Lungo Via d’Azeglio, in prossimità di Piazza Baracca, si trova la caratteristica Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. L’edificio è anche noto come Chiesa degli Angeli Custodi, per via della festività dell’Angelo custode (2 ottobre), ritratto in un dipinto seicentesco anonimo conservato all’interno. Situata un tempo in prossimità del circuito murario cittadino, originariamente (VI secolo d.C.) la chiesa era impostata su tre navate scandite da pilastri con abside collocata dove oggi vi è la facciata. Della struttura originale rimangono solo parte delle murature perimetrali. Dopo aver, infatti, subito un restauro nel X secolo, la chiesa è stata quasi per intero riscostruita nel 1758 grazie all’intervento di Domenico Barbiani. Caratteristico è il campanile d’età medievale (forse del IX secolo), a pianta quadrangolare nelle fasi più antiche e poi successivamente circolare. Secondo alcuni sarebbe uno tra i più antichi conservati in città. Nella sua veste barocca la Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo mostra una pianta a croce latina e una ricca decorazione a stucchi, con affreschi di Cesare Pronti e dipinti di Gioacchino Muzzarelli, Pietro Ciomei, nonché dello stesso Pronti - www.turismo.ra.it