lunedì, gennaio 03, 2022

365 giorni con don Alberione




365 giorni con don Alberione (Giacomo Alberione, San Paolo Edizioni, 2013)

di San Paolo

Fonte: Rebeccalibri


Dicembre

Maria Regina degli Apostoli

e Mediatrice di ogni grazia

La Pia Società San Paolo considererà spesso «ad quid venisti?» (perché sei venuto?). Essa porti sempre nel cuore gli intellettuali; il Vangelo è cosa divina: in fondo corrisponde a tutte le menti; è capace di soddisfare a tutte le domande rispondendo agli uomini di ogni tempo. Se si conquistano gli intellettuali, si pesca con la rete, non con l’amo soltanto.

Allora si realizzerà il completo abbraccio delle due sorelle in Cristo-Dio: Ragione e Fede. […].

In uno dei sogni interrogò Maria che [cosa] potesse ora fare la Famiglia Paolina di ossequio, e quale omaggio attendesse dalla cristianità in questo momento storico. Maria si mostrava avvolta in luce oro-bianco come la piena di grazia. Udì: «Sono la Mater divinæ gratiæ».

Questo risponde al bisogno attuale della povera umanità; e giova a far meglio conoscere l’ufficio che Maria attualmente compie in cielo: «Mediatrice universale della grazia».

Ecco un semi-cieco, che è guidato; e col procedere viene di tanto in tanto illuminato, perché sempre possa avanzare: Dio è la luce.

(Abundantes divitiæ gratiæ suæ, nn. 197-198, 201-202)

 

1° dicembre

Ogni anno si può dire che la Chiesa ci fa ripensare alla vita di Gesù Cristo, ce la ricorda, ci dà il tempo di applicarci i frutti della redenzione. Ma non è una semplice ripetizione: è un progresso che noi dobbiamo fare, come ogni anno ritorna il tempo di scuola, e si devono frequentare le lezioni; ma non è sempre la medesima materia che si impara: ogni anno si va avanti, si progredisce nella conoscenza della verità, della dottrina, della scienza, finché noi saremo giunti all’età perfetta, cioè alla pienezza della nostra unione con Gesù Cristo, lassù in cielo. E la vita è la preparazione dell’uomo a quella beata eternità, a quella vita perfetta che ci attende dopo la vita presente.

Ecco allora che la Chiesa ci ricorda la venuta temporale di Gesù Cristo, Figlio di Dio Incarnato, e nello stesso tempo ci ricorda l’ultima venuta di lui, quando cioè egli comparirà per giudicare tutti gli uomini e dare a ognuno il premio o il castigo secondo il merito. E chi potrà quel giorno avere il premio, sentirsi ripetere l’invito: «Venite, o benedetti del Padre mio»? (cfr. Mt 25,34). Chi sulla terra è entrato nel regno di Gesù Cristo, regno di amore, di verità, di giustizia. La Chiesa ci invita oggi a prepararci a entrare in questo regno.

L’Avvento è preparazione al Natale. Gesù nel giorno di Natale aprirà la sua scuola agli uomini: scuola di verità, scuola di santità, scuola di amore. Ma noi dobbiamo sentire la necessità di questa scuola. Dobbiamo in questo tempo riconoscerci per ignoranti, pieni di difetti, uomini inclinati al male, alle passioni, al peccato quali siamo, e quindi entrare in un certo spirito di penitenza.

(Prediche del Primo Maestro, vol. II, pp. 6-7)

[…]

8 dicembre

Maria ebbe la vita più santa. Anzitutto ella fu concepita senza peccato e ripiena fin d’allora di grazia. Ella si trovava, in quella sua prima comparsa nel mondo, ricca di tale grazia da sorpassare tutti i santi. Tutti i santi e gli angeli sono servi di Dio, e il servo è in un grado inferiore alla Regina e alla Madre. Ora Maria nasceva Madre e Regina, cioè chiamata ad essere la Madre di Gesù e Madre nostra, e all’ufficio di Regina, distributrice di grazie.

Ella è chiamata ad essere la Regina della misericordia e ad avere per sudditi i miseri; i quali non devono mai scoraggiarsi. Come negli ospedali pubblici il titolo per essere ricoverati è questo: «Ha bisogno, è un malato grave», e quando si tratta della beneficenza pubblica, il titolo è questo: «È povero, ha bisogno»; così il nostro titolo per entrare nel regno di Maria e avere la sua misericordia particolare, sono le nostre necessità e la sua potenza e bontà.

Concepita in questo altissimo grado di santità, alla sua nascita gli angeli vennero alla piccola culla, a salutarla e a venerare la celeste Bambina. E il nome che le fu dato indica un ufficio ben grande, e un grado di santità superiore alla santità di tutti gli uomini e di tutti gli angeli. La sua infanzia fu santissima e delicata. Ella si consacrò per tempo al Signore e offrì a lui tutti i suoi pensieri, i suoi sentimenti, il suo corpo e la sua anima, per essere sempre tutta e solo di Dio. Quanto sia poi cresciuta in santità presso il Tempio, è cosa che viene per conseguenza. Dio andava preparandosi un tabernacolo: «Affinché il Figlio tuo avesse una degna dimora, con la cooperazione dello Spirito Santo, hai preparato il cuore della Vergine Maria…».

(Prediche del Primo Maestro, vol. I, pp. 38-39) 

[…]

24 dicembre

Man mano che ci avviciniamo al grande giorno di Natale, la Chiesa si riempie di sempre maggior gioia […].

Questa gioia è particolarmente espressa dalla Chiesa nel giorno di Natale, quando viene considerato il Bambino in culla nella mangiatoia. Gli angeli hanno invitato i pastori a quella culla; noi siamo invitati dalla Chiesa a presentare al Bambino le prime adorazioni. Adoriamo nel tabernacolo, che è il vero presepio, il Verbo divino, coeterno al Padre, nato nel tempo da Maria e che deve nascere in ogni anima per mezzo della grazia, in attesa che nasca in noi nell’eternità. […].

Ecco i titoli che Gesù ha per meritare i nostri ossequi, ringraziamenti e suppliche: si chiamerà Ammirabile, cioè colui che merita tutta l’ammirazione; infatti è sommo bene, fonte di ogni bene e tutto ciò che è ammirabile e bello nel mondo procede da lui.

Si chiamerà Dio, infatti, sebbene si mostri sotto l’aspetto di semplice bambino e taccia, è il Dio che regna nei cieli, il Figlio del Padre celeste, la Sapienza eterna, l’onnipotente.

Si chiamerà Principe della pace. Gli uomini vanno cercando la pace in tante maniere, con tanti mezzi, ma questa pace non c’è che in Dio, in Gesù Cristo, nel suo Vangelo. Solo quando viviamo secondo il Vangelo e solo se le nazioni si reggono secondo i princìpi del Vangelo, troveranno la pace: pace che viene da Gesù Cristo e viene data a coloro che hanno buona volontà.

Viene chiamato ancora Padre del secolo futuro e il suo regno non avrà fine.

(Prediche del Primo Maestro, vol. II, pp. 17-18)

25 dicembre

Secondo la legge dell’imperatore di Roma, san Giuseppe era venuto con Maria a Betlemme per il censimento. Era vicino il tempo in cui doveva compiersi il grande mistero della nascita del Figlio di Dio incarnato. Giuseppe, dopo avere compiuto il suo dovere civile, cercò per la sera l’ospitalità; ma per i due poveri, nessuno aprì la porta: «Non c’era posto per essi nell’albergo», per cui Giuseppe dovette cercare un asilo qualunque, un ricovero per la notte, al riparo almeno dalle intemperie.

Ecco la sorte che tante volte tocca ai poveri. Ma Giuseppe sempre si distingue per il suo abbandono nelle mani di Dio. Esecutore obbedientissimo delle divine leggi, egli prendeva dalle mani di Dio tutte le cose avverse, come quelle felici e favorevoli, con uguale intento: di piacere a Dio, compiere la sua santissima volontà. E trovò ricovero in una povera grotta che era abitazione degli animali e serviva per riparo in certe occasioni.

Là, nel silenzio della notte, ecco nasce il Bambino Gesù: e viene accolto da Maria e Giuseppe con spirito di adorazione; viene avvolto in poveri panni, deposto non in una culla ma in una mangiatoia, sopra un po’ di paglia (cfr. Lc 2,1-7).

Ecco il primo Tabernacolo, la prima esposizione che si fece di Gesù nel mondo: sopra un po’ di paglia, in una greppia. Gesù e Maria, eccoli nella totale povertà, e Giuseppe forse col cuore più trafitto, perché non aveva potuto preparare là un asilo meno indegno. Tuttavia Maria e Giuseppe si prostrano davanti a quella culla: sono i primi adoratori. È povera quella grotta, estremamente povera, ma vi sono cuori che amano tanto: e là Gesù con Giuseppe e Maria glorificano il Padre. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli», viene cantato dagli angeli, e possiamo pensare che lo ripetessero nel loro cuore quelle tre santissime persone; e «pace agli uomini di buona volontà». Allora si svelava il mistero della Incarnazione. La povertà estrema.

A qualunque bambino che nasce vi è una condizione più favorevole, se non in casi eccezionali; ma a Gesù, Giuseppe e Maria viene riservata la condizione dei più poveri: nasce lontano dalla casa di Nazareth, e nasce in una grotta non sua; nasce e viene avvolto in poveri panni, e i primi adoratori, dopo Maria e Giuseppe, sono i poveri pastori.

(Prediche del Primo Maestro, vol. I, pp. 132-133)

26 dicembre

Quali saranno i frutti delle nostre adorazioni?

Un frutto di fede. Quando si fa bene la Visita al santissimo Sacramento, cresce in noi la fede. La lettura spirituale, specialmente del Vangelo, porta in noi aumento di fede; d’altra parte, dopo il primo punto della  Visita, dobbiamo recitare l’Atto di fede o il Credo, per esprimere la fede che è nei nostri cuori, e per chiedere insieme aumento di fede: che ogni giorno la fede si radichi sempre di più nelle nostre anime e porti frutti. Così i pastori: «Vistolo, si persuasero di quanto era stato detto di quel Bambino» (cfr. Lc 2,20). Ecco la fede, in cui furono confermati i pastori presso la culla.

Essi, però, non si accontentarono di sentire in se medesimi quei sentimenti, quello spirito di fede; ma con entusiasmo, con gioia ne parlarono ad altri. Quando c’è la fede in un cuore, c’è anche lo zelo per l’apostolato.

Presso il tabernacolo noi impariamo molte cose. Vi sono tante cose che non si comprendono che presso il tabernacolo; quando si medita, quando si prega, la luce di Dio risplende nelle anime.

Altro frutto dell’adorazione dei pastori fu una pietà più profonda: «Se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito com’era stato loro detto» (Lc 2,20). Da una Visita ben fatta si ricava una pietà più profonda. È lì che noi pensiamo; è lì che preghiamo con parole nostre; è lì che comprendiamo meglio quale sia il nostro fine, e conosciamo meglio il Signore e la sua volontà.

Le anime adoratrici tornano dall’altare con maggiore coraggio, con maggiore fortezza per il bene, con tante consolazioni: consolazioni che il mondo non può dare. […]. Non crediamo di trovare pace in una letizia vuota, mondana, sensuale: la pace è solo in Dio.

(Prediche del Primo Maestro, vol. II, pp. 19-21)

[…]

31 dicembre

La funzione di questa sera è caratterizzata dal canto del Te Deum. «Te Dio noi lodiamo, Te confessiamo Signore». Confessiamo la tua misericordia, o Signore, e le tue misericordie sono senza numero.

Ma la funzione di questa sera è pure caratterizzata dal pensiero che un altro anno è trascorso, e questo significa: un anno di meno nella vita. Ora ci possiamo quasi fare un primo funerale. Se, per misericordia di Dio, è stato stabilito che noi dobbiamo trascorrere un dato numero di anni su questa terra, ecco, ora uno di essi è trascorso; la somma poi di essi costituisce la vita che se ne va.

Il terminare di un anno è un avviso: non soltanto perché noi ci auguriamo «Anno nuovo, vita nuova», ma ci avvisa che passa il tempo e passano gli uomini; Dio solo è eterno. Noi siamo mandati sulla terra per qualche tempo e il Signore ci aspetta nella sua casa paterna, dopo che avremo subìto la prova. Siamo chiamati al Cielo, indirizzati, avviati al Paradiso. Fortunato colui che indovina la strada […].

(Prediche del Primo Maestro, vol. II, p. 32)

365 giorni con don Alberione | Giacomo Alberione | San Paolo Edizioni | 2013 | pagine400 | euro 14,90



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