PENITENZA e MORTIFICAZIONE
nella prassi e nell’insegnamento del beato Alberione
Il tempo forte, tempo favorevole, della Quaresima si rivela una opportunità molto preziosa per
conoscere meglio e riflettere insieme sui temi della penitenza e della mortificazione secondo il
beato Alberione.
1. La PENITENZA è intesa sia nell’accezione etimologica di pentimento, di invito alla conversione,
di più preciso orientamento a Dio nell’itinerario di conformazione al Maestro Divino; e sia
nell’accezione concreta di “opere di penitenza”.
Nell’opera Brevi meditazioni per ogni giorno dell’anno, in riferimento al mercoledì delle ceneri,
don Alberione scrive: «La Quaresima ci prepara a partecipare ai frutti della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù con la penitenza e le opere buone». E, in sintonia con altri autori, anch’egli definisce la quaresima «un grande ritiro fatto dai cristiani di tutto il mondo, che si preparano alla vita nuova, e risurrezione in Cristo. Si imitano il ritiro ed il digiuno di Gesù».
Un “grande ritiro”, quindi. Contrassegnato da “penitenza” ed “opere buone”.
È noto che il Fondatore non ha stabilito per la Famiglia Paolina speciali penitenze di tipo corporale.
Però non può non sorprendere quanto egli si era proposto in occasione dei suoi esercizi spirituali, vissuti nel 1922:
«Ridurrò il cibo anche un po’ sul necessario – provvederò per il riposo in mododa mortificarmi – userò la disciplina tre volte il giorno in spirito di penitenza e come preventivo – se non basterà unirò il cilicio».
Viene spontaneo domandarci: perché don Alberione – e probabilmente anche don Giaccardo,
Maestra Tecla, Madre Scolastica, Andrea Borello, ecc. – non esitava a ricorrere a penitenze di quel tipo?
Ma, conoscendo bene la nostra fragilità, don Alberione preferiva orientarci a penitenze di tipo positivo, cioè all’applicazione massima in tutti gli impegni della nostra giornata. È ancora lui a guidarci con indicazioni quanto mai puntuali. Ecco quanto raccomandava nella meditazione mattutina il 27 febbraio 1952, mercoledì delle ceneri:
«Quali penitenze proporre per la Quaresima? Ne potremmo consigliare parecchie.
La carità paziente è la prima penitenza; carità benigna... (cf. 1Cor, 13,1ss); carità paziente con tutti, e anche con noi stessi.
Altra penitenza: la vita comune, la puntualità ad ogni orario: «mea maxima poenitentia, vita communis», diceva San Giovanni Berchmans.
Altra penitenza: l’esercizio rapido, diligente dell’apostolato, compiuto con spirito soprannaturale.
Ma volevo stamattina consigliare e proporre, prima di ogni altra, la penitenza della preghiera, della devozione: la quale comprende tutte le pratiche di pietà della giornata, della settimana, del mese, dell’anno.
1. Farle tutte queste pratiche; farle interamente.
2. Farle con lo spirito delle Costituzioni. Onorare Gesù Maestro Via, Verità e Vita; intonare ogni pratica a questo spirito, soprattutto la Visita al SS.mo Sacramento. Vi sono delle Visite che hanno bisogno di essere radicalmente rivedute e migliorate.
3. Studiare il Maestro divino. Leggere il Vangelo; cercare di capirlo, di comprenderlo bene.
Intensificare la pratica delle virtù: dell’umiltà, della carità; e preferire in questa Quaresima preghiere di penitenza, quali: il Miserere [Sal 51/50], il De profundis [Sal 130/129]... Così ci prepareremo ad una Santa Pasqua.»
Oltre gli inviti alle forme più usuali di penitenza – carità paziente, vita comune,
esercizio diligente dell’apostolato svolto con spirito soprannaturale – colpisce quell’espressione
insolita “penitenza della preghiera”.
Ma cosa intendesse con quelle parole è di una chiarezza solare! “Fare interamente
le pratiche di pietà”; viverle “onorando Gesù Maestro Via, Verità e Vita (cioè con metodo paolino), soprattutto la visita al SS.mo Sacramento”; impegnarsi a “studiare il Maestro divino” leggendo il vangelo e cercando “di capirlo, di comprenderlo bene”; intensificare la pratica delle virtù dell’umiltà e della carità!
2. Collegato al tema della penitenza è quello della MORTIFICAZIONE.
Se il tema della penitenza risulta più legato ad un periodo dell’anno, il tema della mortificazione è molto più ampio, occupa tutto l’anno e tutti i settori della nostra persona, in quanto strettamente connesso con l’itinerario di cristificazione.
Già nel Preambolo del Donec formetur Christus in vobis il Fondate evidenzia “l’esercizio della mortificazione”; e, richiamandosi a sant’Ignazio, sottolinea la finalità della mortificazione ; “formare la volontà indifferente alle cose create: sanità o malattia, lode od umiliazione, ricchezza o povertà, ecc.”. Quindi, dopo aver richiamato l’esempio di Gesù – «Christus non sibi placuit» [Cristo non cercò di piacere a se stesso, Rm 15,3] –, aggiunge: “Mortificazione della intelligenza, della memoria, della volontà, della fantasia, del cuore, dei sensi esterni.
Ciò minutamente; onde questi santi eccessi e la ripetizione frequente operino più presto
l’abitudine e la morte dell’uomo vecchio” (DF 11-12).
In seguito, don Alberione lega inscindibilmente la mortificazione con la missione, l’apostolato.
Nel San Paolo del gennaio 1951, egli ricorda fortemente che “tutti sono tenuti e tutti possono in
qualche forma esercitare l’apostolato”.
E, come altre volte, enumera i tipi di apostolato: l’apostolato dell’esempio; l’apostolato della preghiera; l’apostolato così efficace della vita interiore e della sofferenza; il compiere santamente i propri doveri sociali, che sempre sono un apporto al corpo mistico di Gesù Cristo.
Precisa, quindi, che “il vero apostolato è un donarsi, in opposizione all’egoismo, all’interesse,
alla vana gloria, alla sciocca voglia di prodursi”. Esige tanta mortificazione, quindi.
Di fatto “l’apostolato suppone lo spirito di sacrificio, sacrificio di denaro, di tempo, di salute, di stima. Esso include delusioni, critiche, opposizioni, spesso anche da parte di chi meno si attenderebbero; forse anche dalle persone di cui si cerca la salute eterna, o che ricevettero benefici...”.
Di qui: «Intendere bene la mortificazione. Vi sono mortificazioni negative e positive.
Non estenuarci con privazioni, ma fortificare l’organismo per zelare. Gli apostolati compiuti convenientemente sono una mortificazione positiva. Non comprimere, ma sviluppare le energie ed impiegarle per la gloria di Dio per le anime: nell’insegnare, amministrare i Sacramenti, dedicarsi agli apostolati straordinari e tradizionali. Gesù fatigatus ex itinere.»
Il Fondatore desidera, pertanto, che “intendiamo bene” la mortificazione. Desidera, certo, che non trascuriamo la mortificazione negativa (piccole ma significative rinunce o privazioni fisiche
per rafforzare la volontà), ma vuole orientarci decisamente alla mortificazione positiva.
Non saremmo fuori del suo pensiero se mutassimo il temine mortificazione in “vivificazione”:
è questo infatti quanto don Alberione intende!
Qualche anno più tardi ritorna sul tema nel San Paolo del 1954. Intitola il discorso: La legge della mortificazione, e afferma con vigore:
«È universale. Ogni bene, che si voglia compiere, richiede o di negare qualcosa alla parte inferiore o di esigere qualche sforzo.
Così per il bene spirituale, la preghiera, lo studio, l’apostolato, l’osservanza religiosa, ecc. Anche la ricreazione, la pulizia, il vivere in famiglia ed in società, il commercio, una regolata nutrizione, la conservazione della salute, ottenere fiducia e stima presso gli uomini, ecc. richiedono mortificazione. (…).
Universale perché si estende a tutto l’essere: mente, cuore, volontà, fantasia, occhi, tatto, lingua, memoria, ogni passione. (…).
Il fine della mortificazione è positivo, cioè cooperare nella giusta direzione.
Il nome suona quasi mortuum facere, cioè stabilire la volontà regina e che possa dirigere l’occhio, come la memoria, la lingua come la fantasia; ora direttamente ora indirettamente; come fossero cadaveri che non si oppongono.
Tre massimi beni avremo dalla mortificazione se retta: salvezza, perfezione, apostolato.
Le varie denominazioni con cui è indicata la mortificazione chiariscono il concetto, la necessità, il fine.
Nella Sacra Scrittura prende molti nomi: rinunzia “qui non renuntiat...”; abnegazione “abneget se metipsum”; mortificazione “Si autem spiritu facta carnis mortificaveritis”; morte “mortui estis”; seppellimento “consepulti”, spogliamento “expoliantes vos”; lotta “bonum certamen”.
Oggi si sentono spesso: riforma, governo di sé, distacco, educare la volontà, rivestirsi di Dio, vivere in Cristo, orientarsi verso Dio; sforzo, sacrificio, vigilanza.»
Un testo di straordinario rilievo. E tanto, tanto attuale!
Dalla “legge della mortificazione” non ci si può in alcun modo esimere, dal momento che –
come dirà in altra occasione – “nessun bene si può ottenere nel mondo senza sacrificio, senza mortificazione”.
La mortificazione ha come fine “stabilire la volontà regina”, apporta grandissimi beni, e ha un chiarissimo fondamento evangelico. Notevole poi che il Fondatore stesso proponga altre denominazioni: “governo di sé”, “educare la volontà”, fino a “rivestirsi di Dio”,
o addirittura “vivere in Cristo”.
Quanto sarebbe coinvolgente se il termine stesso mortificazione evocasse immediatamente
ad ognuno di noi il rivestirci di Cristo!
Infine, se volessimo collegare il tema della mortificazione alla Quaresima,
anche qui non mancherebbe un puntuale suggerimento del Fondatore.
Parlando alle comunità della Famiglia Paolina in Roma, il 5 marzo 1952, egli affermava:
«In quaresima, specialmente, si faccia con generosità la mortificazione del mattino: la levata sollecita, in penitenza dei nostri peccati.1 Incominciare bene la giornata, significa incominciare bene la vita. Una gioventù studiosa, virtuosa, una gioventù di carattere fermo, prelude a una virilità ricca di attività, di meriti e socialmente utile. Com’è bello, al
1 Scrive don Antonio Speciale nel suo Diario che la sera precedente, don Alberione «va nel refettorio del vocazionario, e ai Sacerdoti e Fratelli che sono arrivati un po’ prima a tavola, raccomanda di alzarsi tutti al mattino alle ore 5, per trovarsi per tempo in Cripta alle 5,30: “Questo lo dico per tutti e non solo per alcuni”. Poi augura “Buon appetito!” ed esce» (cf “Diario”, 5 marzo 1952).
mattino, per tempo, trovarci tutti uniti ai piedi di Gesù per ricevere da Lui la luce, la grazia necessaria per incominciare con Lui la giornata e poi recarci con sveltezza all’apostolato!».
Perfetto. Chi vorrà essere il primo ad accogliere questo invito?
don Guido Gandolfo, ssp
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