martedì, marzo 25, 2025

Il SI di Maria

 


IL SI DI MARIA E IL NOSTRO SI

25 Marzo 2025 in Superiore Provinciale 

“Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7)

Nel cuore della spiritualità paolina, come ce l’ha trasmessa il Beato Giacomo Alberione, la festa dell’Annunciazione del Signore si illumina di un significato profondamente apostolico e cristocentrico. Maria, nel suo “Eccomi”, è la prima a vivere in pienezza quell’atteggiamento che sarà poi proprio di Cristo stesso: il totale abbandono al progetto del Padre. Il suo “Fiat” è l’inizio dell’Incarnazione, e quindi anche l’inizio della Redenzione e dell’annuncio del Vangelo.

Don Alberione scrive:
“Maria disse il suo Fiat e in quel momento il Verbo si fece carne: e il Verbo si fece anche nostra via, verità e vita.”
(UPS II, 165)

Nel pensiero alberioniano, l’Annunciazione non è soltanto un momento mariano, ma un momento apostolico, in cui si inaugura la missione redentrice del Cristo Maestro, che viene per insegnare, santificare e guidare. Maria accoglie la Parola nel suo grembo e diventa la prima apostola, colei che dà al mondo il Verbo incarnato.

Per noi Paolini, la festa di oggi è un richiamo alla radice vocazionale e apostolica della nostra missione: come Maria, siamo chiamati a dire il nostro “sì” quotidiano, a lasciarci trasformare dalla Parola per diventare anche noi strumenti dell’annuncio. L’Annunciazione è il modello di ogni “vocazione” e di ogni “missione”: Dio propone, l’uomo risponde, e la salvezza entra nella storia.

Don Alberione ci invita a guardare Maria come Madre, Regina e Maestra del nostro apostolato:
“Maria diede Gesù al mondo una volta; ora desidera darlo sempre, in ogni anima.”
(UPS IV, 315)

E allora, in questa solennità, impariamo da Maria il coraggio del “sì”, la disponibilità al progetto di Dio, e la gioia di portare Cristo al mondo con i mezzi della comunicazione, con la nostra vita, con l’offerta quotidiana del nostro apostolato.

Un pensiero speciale, oggi, va alle care sorelle dell’Istituto Maria Santissima Annunziata, che nel silenzio operoso della consacrazione secolare testimoniano, come Maria, che è possibile accogliere Dio nella trama ordinaria della vita, e farlo presente là dove i sacerdoti e i religiosi non possono arrivare. A voi, donne del “sì” fedele e discreto, giunga oggi un augurio colmo di gratitudine e di speranza: il vostro Fiat continui a generare Cristo nel cuore del mondo, con la luce e la forza dello Spirito Santo.

Buona festa dell’Annunciazione!

don Roberto Ponti, ssp
superiore provinciale

25 marzo 2025 - PaolinItalia

lunedì, marzo 24, 2025

Cuore di una vergine

 



Alda Merini (da Mistica d’amore)

 Una voce come la Tua
che entra nel cuore di una vergine
e la spaventa,
una voce di carne e di anima,
una voce che non si vede,
un figlio promesso a me,
tu ancella che non conosci l’amore,
un figlio mio e dell’albero,
un figlio mio e del prato,
 un figlio mio e dell’acqua,
un figlio solo:
il Tuo.
Come non posso spaventarmi
e fuggire lontano
se non fosse per quell’ala di uomo
che mi è sembrata un angelo?
Ma in realtà, mio Dio,
chi era?
Uno che si raccomanda,
 uno che mi dice di tacere,
uno che non tace,
uno che dice un mistero
 e lo divulga a tutti.
Io sola, povera fanciulla ebrea
che devo credere e ne ho paura, Signore,
 perché la fede è una mano
che ti prende le viscere,
 la fede è una mano
che ti fa partorire.














Poesia dell'Annunciazione

La vergine Maria
si china sul suo cuore
profondo come una fontana
e congiunge le mani
per meglio trattenere
lo zampillio del cielo che la invade.

La vergine Maria chiude gli occhi
nascondendo col velo delle palpebre il suo cuore
per non vedere più nulla,
per udire più distintamente
un soffio che fa tremare le sue preghiere...

Il cielo ha sospinto la porta,
la porta ha cantato,
un angelo è entrato.
Un angelo ha parlato sottovoce
nella stanza.

Tu sola, Maria, senti ciò che dice,
tu sola nell'ombra e il paradiso.
Ha seminato il Dio immenso
nelle tue membra.

Non l'ho visto. Ma mentre se ne andava
– io stavo sulla soglia fremente della porta –
ha lasciato cadere,
nel mio cuore impaurito,
un seme mormorante del Verbo che egli porta.

Ha fatto cadere dentro di me,
nel luogo più ignorato e più profondo,
una parola in cui palpita il mistero,
una parola nel mio grembo per donarla al mondo.
Come potrà uscire da me questa parola,
da me che non sono né grande né sapiente?

Ma lo Spirito Santo
– io sono la sua serva –
se vuole che nasca da me, metterà la sua mano.
La vergine Maria trabocca di felicità.
La vergine Maria si trova immersa
nella dolcezza di Dio.

I rovi sono in fiore
intorno al giardino
intorno alla mia gioia.

 

Poesia dell'annunciazione di Marie Noël (1883-1967)



sabato, marzo 08, 2025

Quo vadis, Domine?

 



Quo vadis, Domine?

Bogusław Zeman, SSP

«Se è vero, quanto si racconta, un giorno, durante la persecuzione di Roma, S. Pietro si sentì scoraggiato e stava per uscire dalla città. Il Signore lo fermò e gli disse: Quo vadis? Pietro allora tornò indietro con coraggio [e arrivò] fino a spargere il suo sangue sul colle Vaticano» (FSP55 174). 

In questa meditazione rivolta alle Figlie di San Paolo, il beato Giacomo Alberione ha ricordato un evento conosciuto dal libro apocrifo Atti di Pietro. Si tratta di una tradizione secondo cui, durante la persecuzione dei cristiani ordinata da Nerone, Pietro decise di lasciare Roma per evitare il martirio. Mentre fuggiva, gli apparve Gesù sulla via Appia, che stava camminando verso la città. Pietro gli chiese: “Quo vadis, Domine?” e si sentì rispondere: “Vado a Roma per essere crocifisso di nuovo”. Il frutto di questo incontro fu il ritorno di Pietro a Roma, dove morì martire intorno al 64. In prossimità delle catacombe di San Callisto si trova una piccola chiesa che ricorda questo incontro tra Pietro e Gesù sulla via Appia.

La Quaresima può essere un momento in cui incontriamo Gesù e scopriamo che le nostre strade vanno in direzioni opposte. E allora? Possiamo proseguire nella nostra direzione, allontanandoci dai misteri pasquali della vita e dal compimento della volontà di Dio. Oppure possiamo tornare indietro, convertirci e riprendere il cammino del Maestro e seguirlo, accettando il mistero della croce nella nostra vita.

Quo vadis, Domine?” – è una buona domanda perché ne provoca un'altra: Quo ego vado? Dove sto andando? Sono in cammino con Gesù, che è stato crocifisso? A volte, in buona fede, possiamo essere così presi dalla vita che, anche pieni di passione apostolica, non ci accorgiamo di un cambio di direzione, di un abbandono delle priorità, di una perdita del giusto giudizio sulla realtà. Crediamo nella correttezza delle nostre decisioni, che però possono rivelarsi sbagliate. Ci capita anche di scappare. Allora è bene incontrare Gesù e chiedergli la strada.

La nostra conversione quaresimale può essere accompagnata dalla domanda di Pietro: “Quo vadis, Domine?” che ci aiuterà a valutare correttamente il percorso del nostro cammino alla sequela di Gesù.

L'esempio di San Pietro, richiamato dal nostro Fondatore, è anche un’incoraggiamento a vivere in modo sano la propria peccaminosità; non come un argomento per condannarsi, ma come una circostanza che genera in noi il bisogno di riconoscere la nostra colpa e di accogliere la misericordia di Dio. Nella meditazione citata, don Alberione spiega: «In paradiso ci sono più peccatori che innocenti. E allora? C’è posto anche per noi. C’è stato posto per S. Paolo e c’è stato posto per S. Pietro, e non ci sarà posto anche per noi? E per di più a S. Pietro Gesù ha dato la chiave proprio per aprire [il paradiso]. Quando vede arrivare un’anima che era peccatrice, non si spaventa, non la rigetta, perché non avrebbe potuto entrare neppure lui. E allora? Allora dirà: Hai fatto come ho fatto io, se ci sto io in paradiso, ci vieni anche tu purché tu faccia come ho fatto io. Ho pianto il mio peccato, e da quel giorno con buona volontà ho servito il Signore con gran coraggio» (FSP55 173-174).

Buon cammino di Quaresima!

( dal sito paulus.net)

mercoledì, marzo 05, 2025

Umile Lavoratore

 

Carissime Annunziatine,

nel giorno della sua elezione a Vescovo di Roma Joseph Ratzinger (il 19 aprile 2005) si presentò con una significativa espressione: «... i signori cardinali hanno eletto me pontefice, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore...».

È bello come questa definizione riveli il suo lungo impegno per la Chiesa che è la “vigna del Signore” ed insieme che si sia qualificato come “semplice e umile lavoratore”. Così, con delicatezza, implicitamente ha richiamato anche il santo di cui porta il nome: San Giuseppe. È lui l’esempio e il modello più alto di “umile lavoratore”.

Per ciascun battezzato san Giuseppe deve essere un modello da imitare. È colui che, dopo la Vergine Maria, ha ricevuto più grazie, dovendo essere modello per la crescita umana di Gesù. Per questo, anche se sempre silenzioso nei Vangeli, è a tutti noi padre, modello, intercessore e protettore.

Don Alberione prese Giuseppe come nome di professione il 13 marzo 1927 quando emise i Voti pubblici e perpetui (i voti privati li aveva fatti l’8 dicembre del 1917). Nella Società San Paolo san Giuseppe era l’occasione solenne per l’onomastico di don Alberione, oltre che festa dei Discepoli del Divin Maestro.

Da san Giuseppe dobbiamo imparare come si compie la Volontà di Dio. «Un esempio del come si deve fare la volontà di Dio lo abbiamo in S. Giuseppe. S. Giuseppe è il primo santo dopo la SS. Vergine, ma qual è il segreto della sua santità e della sua alta perfezione? Il segreto sta qui: era spoglio di tutto, dei suoi gusti e delle sue tendenze. Tutto per lui era il divino volere, tutto cercava di conformare al divino volere» (Alberione, Alle Figlie di San Paolo 1941, p. 102).

San Giuseppe ha ricevuto lungo i secoli molti “titoli” che definiscono il suo ruolo nella storia della salvezza e per questo è qualificato come modello da imitare per noi.

Il primo lo troviamo nei Vangeli è il titolo “giusto”, che però non va limitato semplicemente a un livello umano: Giuseppe è giusto perché adempie in pieno la volontà divina.

Nel 1621 Papa Gregorio XV proclamava il 19 marzo festa di precetto in onore del più potente e del più umile santo della Chiesa. Poi Papa Pio IX, l’8 dicembre 

Le anime consacrate hanno come primo impegno di realizzare i desideri di Dio su di loro. Questo è santificarsi: quando i desideri di Dio si realizzano nella nostra vita, lì si compie la volontà divina e cresciamo nella santità. Allora il nostro testimoniare, operare e parlare diventano fecondi e apostolicamente fruttuosi secondo i disegni della volontà di Dio.

Modello di umiltà

San Giuseppe ha ricevuto lungo i secoli molti “titoli” che definiscono il suo ruolo nella storia della salvezza e per questo è qualificato come modello da imitare per noi.

Il primo lo troviamo nei Vangeli è il titolo “giusto”, che però non va limitato semplicemente a un livello umano: Giuseppe è giusto perché adempie in pieno la volontà divina.

Nel 1621 Papa Gregorio XV proclamava il 19 marzo festa di precetto in onore del più potente e del più umile santo della Chiesa. Poi Papa Pio IX, l’8 dicembre 

1870, con il decreto Quemadmodum Deus, affidava la Chiesa alla protezione di San Giuseppe e lo proclamava “Patrono della Chiesa universale”.

Ritornando alle parole di Papa Benedetto XVI, vorrei qui invitare a riflettere su due parole: umile lavoratore.

Certo l’umiltà di Maria rifulge su tutte le creature, ella che ricolmata di grazia più che ogni creatura nel Magnificat si proclama colei di cui Dio “ha considerato l’umiltà della sua serva” (cfr. Lc 1,47). Il termine usato in greco è “tapeinosin” ed in latino “humilitatem” sta ad indicare la “bassezza” e l’essere “a terra”, cioè prostrati.

Il termine “umile” ben si addice anche allo sposo della Vergine Maria. In particolare va osservato che “humilitas” viene da “humus” cioè terra, e in Genesi ci viene ricordato che l’uomo viene dalla terra. C’è dunque un legame con Adamo, cioè con l’inizio della storia quando l’umanità non è ancora contaminata dal peccato ma solamente plasmata dalla terra e animata, vivificata dallo Spirito di Dio.

L’umiltà vera è quella che rimanda alla dimensione di essere plasmati dalle mani di  Dio, riconoscendo che la nostra pochezza deve lasciarsi plasmare, trasformare ed elevare dalla potenza della grazia.

L’umiltà si perde col peccato, quando entra in noi qualcosa che non era nei disegni di Dio e che guasta l’opera della creazione di Dio. L’orgoglio infatti impedisce di discernere il semplice e limpido operare di Dio.

Come non riconoscere in san Giuseppe un uomo che ha lasciato pienamente operare la Volontà di Dio su di sé, e così riparando quanto Adamo all’inizio della storia aveva confuso e intorbidito.

San Giuseppe è l’uomo dei sogni (come anche il Giuseppe dell’Antico Testamento) non perché ha avuto sogni, ma perché ha realizzato i sogni di Dio, tralasciando le proprie aspettative umane e fidandosi totalmente dei disegni del Divino Beneplacito.

San Giuseppe è riconosciuto come colui che non perde tempo, appena conosciuta la volontà di Dio subito la mette in pratica. Il Primo Maestro ricorda «E poi subito S. Giuseppe che metteva in pratica i comandi del cielo, anche di notte, in qualunque stagione o condizione di salute fosse, facendo immediatamente, senza perdere nemmeno tempo a dir di sì» (Alle Figlie di San Paolo 1935, p. 244).

Lavoratore

Strettamente collegato con l’umiltà sta il termine “lavoratore”. Un’umiltà inattiva e non fruttuosa non esiste. Chi è umile, secondo le sue capacità, ha le mani sempre impegnate. Chi perde tempo è ben difficile che sia umile.

Papa Pio XII nel 1955 lo volle proclamare patrono degli artigiani e degli operai. Non solo per affidargli il lavoro e così portare nel calendario liturgico il 1° maggio, ma perché il lavoro è qualcosa dell’originario disegno di Dio nel plasmare l’uomo e nel renderlo partecipe della Sua creazione. Quello che viene aggiunto dopo il peccato originale è il sudore della fronte, è la fatica nel lavorare, senza di essa noi non possiamo portare frutto.

Tornando all’espressione di Papa Benedetto, c’è anche un legame tra “lavoratore” e “vigna”. Viene dal Vangelo, lì dove da Gesù siamo invitati a portare frutto abbondante: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv15,8).

Anche i discepoli di Gesù devono imparare a portare frutto con il sudore della fronte, anzi portando la Croce assieme a Gesù. Gesù che ha imparato a lavorare da San Giuseppe in tutta umiltà chiede anche a noi di “lavorare nella sua vigna” per portare frutto abbondante di grazie, frutto che deve riempiere i granai del Paradiso, frutto di anime redente per il Regno dei Cieli.

Don Gino

venerdì, febbraio 21, 2025

Profumo di Cristo

Don Alberione alle Annunziatine
 

All ’ Istituto Maria SS. Annunziata (Annunziatine)

 -  ( MCS, pp. 184ss )

  “ Il profumo di Cristo ovunque ”  

Verginità e maternità spirituale, qui è il grande segno dell ’ amore particolare che il Signore ha per voi.  Potersi consacrare a Dio con abiti comuni e vita libera, nel senso che è diversa dalla vita comune propriamente detta, è uno stato preziosissimo, più prezioso di  quello che vivono le suore; perché voi sotto un certo aspetto vivete in maggiori pericoli ed è molto più difficile osservare la castità, l ’ obbedienza, l ’ apostolato nell ’ ambiente in cui si vive, nelle varie attività della giornata, ne lle varie occasioni e nei vari luoghi.  Sì, portare quindi la vita di perfezione nel mondo, in mezzo a lla famiglia: ci sarà la mamma, ci sarà il papà, ci saranno i fratelli. Essere le prime nella parrocchia, nelle attività di zelo, per ese mpio, nell ’ Azione Cattolica, nelle atti vità catechistiche, in ogni a mbiente, anche nella fabbrica, anche negli uffici. La vita di perf ezione, il profumo di Cristo ovunque!  

Gli altri potranno anche ridere, anche insultare, ma il loro r idere non viene dal cuore. Essi, vedendo la virtù, piuttosto  amm irano anche se non lo manifestano. La vita di perfezione non chi usa nel convento, ma portata in tutti i luoghi, in tutti gli ambienti, anche se uno esercita un commercio, anche se è operaio in una grande fabbrica, anche se deve stare magari tutto il gi orno nel negozio perché quello è il suo piccolo lavoro da compiere. E quante volte è sacrificio stare lì e privarsi della gioia di vivere fra quattro mura di un convento!  

Il secondo segno del grande amore che il Signore ha per voi è che potete esercitare t utti gli apostolati che sono possibili e adatti alle vostre particolari condizioni. Se c ’ è una maestra esercita l ’ apostolato nella scuola; un ’ operaia lo esercita nel suo ambiente e nelle associazioni varie a cui forse è iscritta; così se è in famiglia, o i n un ambiente più facile, o in un ambiente più difficile.  Tutti gli apostolati! Noi, in primo luogo, consigliamo gli apost olati della stampa, del cinema, della radio e della televisione; però tutti gli apostolati sono validi, nessuno è escluso. Ognuna si sceglie il suo, secondo le circostanze di luogo e di tempo, secondo le sue inclinazioni e attitudini. Lavorare per le anime, il Signore vi mette in mano tante anime! [ ... ]   

I membri degli Istituti Secolari sono il lievito della società in tutta la massa di  uomini, nella quale fanno lievitare lo spirito cr istiano, portano pensieri di Dio, portano la loro preghiera, port ano la loro parola, portano il loro buon esempio. Essi fanno liev itare la società in senso cristiano.  Se avessimo tante di queste anime un p o ’  in tutto l ’ ambiente sociale, dalla parrocchia e dalla famiglia alla politica, alla camera dei deputati, ai giornalisti, a quelli che fanno gli spettacoli sp ecialmente di cinema, di radio, di televisione, la massa della soci età sarebbe lievitata.  Poi il Papa paragona ancora l ’ azione dei membri degli Istituti Secolari al sale. Il sale purifica, dà gusto, preserva dalla corruzi one. Il sale messo in una grande pentola di minestra, supponiamo, si scioglie e rende gustose tutte le molecole, tutte le particelle  di quel cibo. Così i membri degli Istituti Secolari penetrano in tutte le parti della società e portano la loro luce, il loro senso cristiano, il loro buon esempio, il buon odore di Cristo.  

(testo da: Itinerario Sp. Fmiglia Paolina 2025)

sabato, gennaio 25, 2025

Conversione San Paolo

 


 autore: Giovan Battista Gaulli anno: 1690 titolo:
Conversione di San Paolo luogo: Chiesa di San Paolo, Fiastra

Uno dei più gloriosi trionfi della grazia divina é senza dubbio la conversione di S. Paolo, che la Chiesa celebra oggi con festa particolare.

S. Paolo era ebreo della tribù di Beniamino. Fu circonciso l'ottavo giorno dopo la nascita, e fu chiamato Saulo. Apparteneva, come il padre, alla setta dei farisei: setta la più rigorosa, ma nello stesso tempo la più recalcitrante alla grazia di Dio.

I suoi genitori lo mandarono per tempo a Gerusalemme, alla scuola di Gamaliele, celebre dottore in legge. Sotto questa sapiente guida. Saulo si abituò alla più esatta osservanza della legge mosaica. Questo zelo fu quello appunto che fece di Saulo il persecutore più terribile dei primi seguaci di Gesù.

Lo vediamo nella lapidazione di Stefano custodire le vesti dei lapidatori, non potendo far altro, non avendo l'età prescritta; egli stesso però lapidava nel suo cuore, non solo Stefano, ma tutti i Cristiani, avendo in mente una sola cosa: sradicare dalle fondamenta la Chiesa di Cristo e propagare in tutto il mondo il Giudaismo.

Con questo zelo quindi non vi è niente da stupire se fu uno dei più fieri, anzi il più terribile ministro della persecuzione che infierì contro i Cristiani di Gerusalemme e ben presto fece scomparire i Cristiani che colà si trovavano; ma non pagò di ciò, chiese lettere autorizzative al Sommo Sacerdote, per poter fare strage dei Cristiani rifugiatisi in Damasco. Qui però il Signore l'attendeva: qui la grazia divina doveva mostrare la sua potenza.



Eccolo sulla via di Damasco, accompagnato da arcieri, spirante furore e vendetta. Ma d'improvviso, mentre galoppa, una luce fulgida lo accieca; una forza misteriosa lo sbalza da cavallo ed egli ode una voce dal cielo che gli grida:
« Saulo, perchè mi perseguiti? ».

« Chi sei tu? »
risponde Saulo, meravigliato e spaventato ad un tempo.

Ed il Signore a lui:
« Io sono quel Gesù che tu perseguiti. »

« Che vuoi ch'io faccia, o Signore? »
chiede Saulo interamente mutato dalla grazia.

« Va' in Damasco » gli risponde il Signore - « colà ti mostrerò la mia volontà ».

Saulo si alza, ma essendo cieco, si fa condurre a Damasco, dove rimane tre giorni in rigoroso digiuno e in continua orazione. Al terzo giorno Anania, sacerdote della Chiesa Damascena, per rivelazione di Dio, si porta nel luogo dove si trova Saulo, lo battezza e gli ridona la vista. Da quel momento Paolo è mutato da feroce lupo in docile agnello: la grazia di Dio opera in lui per formare il vaso di elezione, l'Apostolo delle genti.

Paolo, docile ai voleri di Dio, tanto crebbe nell'amore di Gesù, che arrivò a dire: « Chi mi separerà dalla carità del mio Gesù? forse la persecuzione? la fame? i sacrifici o la morte? Ah, no, né la vita, né la morte, né il presente, né il futuro saranno capaci di separarmi da quel Gesù per cui vivo, per cui lavoro e col quale sono crocifisso. Egli sarà la mia corona perché non sono io che vivo ma è Gesù che vive in me ».


PRATICA. Iddio permette nella Chiesa le persecuzioni affinché la sua vigna, potata, produca frutti più abbondanti (S. Agostino).

PREGHIERA. Dio, che con la predicazione del beato apostolo Paolo hai istruito il mondo intero, deh! fa' che, mentre oggi veneriamo la sua conversione, per i suoi esempi veniamo a te.

MARTIROLOGIO ROMANOFesta della Conversione di san Paolo Apostolo, al quale, mentre percorreva la via di Damasco spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, Gesù in persona si manifestò glorioso lungo la strada affinché, colmo di Spirito Santo, annunciasse il Vangelo della salvezza alle genti, patendo molto per il nome di Cristo.

mercoledì, gennaio 22, 2025

Icona croce San Paolo

 

 
Icona della croce di S.Paolo

ICONA DELLA CROCE DI SAN PAOLO

La Croce di San Paolo che rappresenta il carisma della Famiglia Paolina è un’opera nuova e originale, composta nel rispetto del canone dell’iconografia bizantina. L’ideatore del progetto è don Boguslaw Zeman, ssp che si è avvalso della supervisione dell’iconografa Hanna Dąbrowska-Certa. La croce originale, che misura 174x124 cm, è stata realizzata in legno di tiglio, dipinta a tempera.

La Croce è stata creata in occasione del Centenario della Famiglia Paolina.  Durante  l’Anno Giubilare 2014, è stata un segno itinerante nelle comunità paoline della Polonia.

Il Crocifisso. La figura centrale dell’icona è Gesù Cristo crocifisso e risorto, la Persona e l’Evento centrale della storia della salvezza, l’essenza del Vangelo di Paolo e della missione della Chiesa. Nell’aureola di Gesù sono iscritte le tre lettere “V”, a significare le parole latine via, veritas, vita, che sono l’autodefinizione di Gesù (cfr. Gv 14,6) e riferimento costante per la vita e l’apostolato della Famiglia Paolina.

I testimoni della crocifissione. Ai margini della trave orizzontale si trovano le immagini di Maria e di San Giovanni Evangelista. Sui loro volti non è visibile alcuna sofferenza perché non stanno piangendo il Crocifisso ma guardandosi, tendono le mani l’uno verso l’altro in un gesto di reciproca accoglienza, secondo il testamento di Gesù: «Donna, ecco il tuo figlio!», «Ecco la tua madre!» (cfr Gv 19,26-27).

Incarnazione, Maria “il Segno”. In cima alla croce si trova l’icona di Maria (Orante) con le mani alzate in segno di preghiera. Il semicerchio celeste rappresenta Dio Padre. Lo Spirito Santo discendente, sotto forma di colomba, rappresenta l’incarnazione del Figlio di Dio nel grembo di Maria. Il mistero dell’Incarnazione è la rivelazione della Santissima Trinità. Gesù, Dio incarnato, raffigurato come un ragazzo.

(introduzione da:  Itinerario Sp FP 2025)




Preghiera del Giubileo

Padre che sei nei cieli,
la fede che ci hai donato
nel tuo Figlio Gesù Cristo, nostro fratello,
e la fiamma di carità
effusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo,
ridestino in noi la beata speranza
per l’avvento del tuo Regno.

La tua grazia ci trasformi
in coltivatori operosi dei semi evangelici
che lievitino l’umanità e il cosmo,
nell’attesa fiduciosa
dei cieli nuovi e della terra nuova,
quando, vinte le potenze del Male,
si manifesterà per sempre la tua gloria.

La grazia del Giubileo
ravvivi in noi, Pellegrini di Speranza,
l’anelito verso i beni celesti
e riversi sul mondo intero
la gioia e la pace
del nostro Redentore.

A te Dio, benedetto in eterno,
sia lode e gloria nei secoli.

Amen.