mercoledì, marzo 05, 2025

Umile Lavoratore

 

Carissime Annunziatine,

nel giorno della sua elezione a Vescovo di Roma Joseph Ratzinger (il 19 aprile 2005) si presentò con una significativa espressione: «... i signori cardinali hanno eletto me pontefice, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore...».

È bello come questa definizione riveli il suo lungo impegno per la Chiesa che è la “vigna del Signore” ed insieme che si sia qualificato come “semplice e umile lavoratore”. Così, con delicatezza, implicitamente ha richiamato anche il santo di cui porta il nome: San Giuseppe. È lui l’esempio e il modello più alto di “umile lavoratore”.

Per ciascun battezzato san Giuseppe deve essere un modello da imitare. È colui che, dopo la Vergine Maria, ha ricevuto più grazie, dovendo essere modello per la crescita umana di Gesù. Per questo, anche se sempre silenzioso nei Vangeli, è a tutti noi padre, modello, intercessore e protettore.

Don Alberione prese Giuseppe come nome di professione il 13 marzo 1927 quando emise i Voti pubblici e perpetui (i voti privati li aveva fatti l’8 dicembre del 1917). Nella Società San Paolo san Giuseppe era l’occasione solenne per l’onomastico di don Alberione, oltre che festa dei Discepoli del Divin Maestro.

Da san Giuseppe dobbiamo imparare come si compie la Volontà di Dio. «Un esempio del come si deve fare la volontà di Dio lo abbiamo in S. Giuseppe. S. Giuseppe è il primo santo dopo la SS. Vergine, ma qual è il segreto della sua santità e della sua alta perfezione? Il segreto sta qui: era spoglio di tutto, dei suoi gusti e delle sue tendenze. Tutto per lui era il divino volere, tutto cercava di conformare al divino volere» (Alberione, Alle Figlie di San Paolo 1941, p. 102).

San Giuseppe ha ricevuto lungo i secoli molti “titoli” che definiscono il suo ruolo nella storia della salvezza e per questo è qualificato come modello da imitare per noi.

Il primo lo troviamo nei Vangeli è il titolo “giusto”, che però non va limitato semplicemente a un livello umano: Giuseppe è giusto perché adempie in pieno la volontà divina.

Nel 1621 Papa Gregorio XV proclamava il 19 marzo festa di precetto in onore del più potente e del più umile santo della Chiesa. Poi Papa Pio IX, l’8 dicembre 

Le anime consacrate hanno come primo impegno di realizzare i desideri di Dio su di loro. Questo è santificarsi: quando i desideri di Dio si realizzano nella nostra vita, lì si compie la volontà divina e cresciamo nella santità. Allora il nostro testimoniare, operare e parlare diventano fecondi e apostolicamente fruttuosi secondo i disegni della volontà di Dio.

Modello di umiltà

San Giuseppe ha ricevuto lungo i secoli molti “titoli” che definiscono il suo ruolo nella storia della salvezza e per questo è qualificato come modello da imitare per noi.

Il primo lo troviamo nei Vangeli è il titolo “giusto”, che però non va limitato semplicemente a un livello umano: Giuseppe è giusto perché adempie in pieno la volontà divina.

Nel 1621 Papa Gregorio XV proclamava il 19 marzo festa di precetto in onore del più potente e del più umile santo della Chiesa. Poi Papa Pio IX, l’8 dicembre 

1870, con il decreto Quemadmodum Deus, affidava la Chiesa alla protezione di San Giuseppe e lo proclamava “Patrono della Chiesa universale”.

Ritornando alle parole di Papa Benedetto XVI, vorrei qui invitare a riflettere su due parole: umile lavoratore.

Certo l’umiltà di Maria rifulge su tutte le creature, ella che ricolmata di grazia più che ogni creatura nel Magnificat si proclama colei di cui Dio “ha considerato l’umiltà della sua serva” (cfr. Lc 1,47). Il termine usato in greco è “tapeinosin” ed in latino “humilitatem” sta ad indicare la “bassezza” e l’essere “a terra”, cioè prostrati.

Il termine “umile” ben si addice anche allo sposo della Vergine Maria. In particolare va osservato che “humilitas” viene da “humus” cioè terra, e in Genesi ci viene ricordato che l’uomo viene dalla terra. C’è dunque un legame con Adamo, cioè con l’inizio della storia quando l’umanità non è ancora contaminata dal peccato ma solamente plasmata dalla terra e animata, vivificata dallo Spirito di Dio.

L’umiltà vera è quella che rimanda alla dimensione di essere plasmati dalle mani di  Dio, riconoscendo che la nostra pochezza deve lasciarsi plasmare, trasformare ed elevare dalla potenza della grazia.

L’umiltà si perde col peccato, quando entra in noi qualcosa che non era nei disegni di Dio e che guasta l’opera della creazione di Dio. L’orgoglio infatti impedisce di discernere il semplice e limpido operare di Dio.

Come non riconoscere in san Giuseppe un uomo che ha lasciato pienamente operare la Volontà di Dio su di sé, e così riparando quanto Adamo all’inizio della storia aveva confuso e intorbidito.

San Giuseppe è l’uomo dei sogni (come anche il Giuseppe dell’Antico Testamento) non perché ha avuto sogni, ma perché ha realizzato i sogni di Dio, tralasciando le proprie aspettative umane e fidandosi totalmente dei disegni del Divino Beneplacito.

San Giuseppe è riconosciuto come colui che non perde tempo, appena conosciuta la volontà di Dio subito la mette in pratica. Il Primo Maestro ricorda «E poi subito S. Giuseppe che metteva in pratica i comandi del cielo, anche di notte, in qualunque stagione o condizione di salute fosse, facendo immediatamente, senza perdere nemmeno tempo a dir di sì» (Alle Figlie di San Paolo 1935, p. 244).

Lavoratore

Strettamente collegato con l’umiltà sta il termine “lavoratore”. Un’umiltà inattiva e non fruttuosa non esiste. Chi è umile, secondo le sue capacità, ha le mani sempre impegnate. Chi perde tempo è ben difficile che sia umile.

Papa Pio XII nel 1955 lo volle proclamare patrono degli artigiani e degli operai. Non solo per affidargli il lavoro e così portare nel calendario liturgico il 1° maggio, ma perché il lavoro è qualcosa dell’originario disegno di Dio nel plasmare l’uomo e nel renderlo partecipe della Sua creazione. Quello che viene aggiunto dopo il peccato originale è il sudore della fronte, è la fatica nel lavorare, senza di essa noi non possiamo portare frutto.

Tornando all’espressione di Papa Benedetto, c’è anche un legame tra “lavoratore” e “vigna”. Viene dal Vangelo, lì dove da Gesù siamo invitati a portare frutto abbondante: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv15,8).

Anche i discepoli di Gesù devono imparare a portare frutto con il sudore della fronte, anzi portando la Croce assieme a Gesù. Gesù che ha imparato a lavorare da San Giuseppe in tutta umiltà chiede anche a noi di “lavorare nella sua vigna” per portare frutto abbondante di grazie, frutto che deve riempiere i granai del Paradiso, frutto di anime redente per il Regno dei Cieli.

Don Gino

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