Carissime Annunziatine,
nel giorno della sua elezione a Vescovo di Roma Joseph Ratzinger (il 19 aprile 2005) si presentò con una significativa espressione: «... i signori cardinali hanno eletto me pontefice, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore...».
È bello come questa definizione riveli il suo lungo impegno
per la Chiesa che è la “vigna del Signore” ed insieme che si sia qualificato come
“semplice e umile lavoratore”. Così, con delicatezza, implicitamente ha
richiamato anche il santo di cui porta il nome: San Giuseppe. È lui l’esempio e
il modello più alto di “umile lavoratore”.
Per ciascun battezzato san Giuseppe deve essere un modello
da imitare. È colui che, dopo la Vergine Maria, ha ricevuto più grazie, dovendo
essere modello per la crescita umana di Gesù. Per questo, anche se sempre
silenzioso nei Vangeli, è a tutti noi padre, modello, intercessore e
protettore.
Don Alberione prese Giuseppe come nome di professione il 13
marzo 1927 quando emise i Voti pubblici e perpetui (i voti privati li aveva
fatti l’8 dicembre del 1917). Nella Società San Paolo san Giuseppe era
l’occasione solenne per l’onomastico di don Alberione, oltre che festa dei
Discepoli del Divin Maestro.
Da san Giuseppe dobbiamo imparare come si compie la Volontà
di Dio. «Un esempio del come si deve fare la volontà di Dio lo abbiamo in S.
Giuseppe. S. Giuseppe è il primo santo dopo la SS. Vergine, ma qual è il
segreto della sua santità e della sua alta perfezione? Il segreto sta qui: era
spoglio di tutto, dei suoi gusti e delle sue tendenze. Tutto per lui era il divino
volere, tutto cercava di conformare al divino volere» (Alberione, Alle
Figlie di San Paolo 1941, p. 102).
San Giuseppe ha ricevuto lungo i secoli molti “titoli” che
definiscono il suo ruolo nella storia della salvezza e per questo è qualificato
come modello da imitare per noi.
Il primo lo troviamo nei Vangeli è il titolo “giusto”, che
però non va limitato semplicemente a un livello umano: Giuseppe è giusto perché
adempie in pieno la volontà divina.
Nel 1621 Papa Gregorio XV proclamava il 19 marzo festa di precetto in onore del più potente e del più umile santo della Chiesa. Poi Papa Pio IX, l’8 dicembre
Le anime consacrate hanno come primo impegno di realizzare i
desideri di Dio su di loro. Questo è santificarsi: quando i desideri di Dio si
realizzano nella nostra vita, lì si compie la volontà divina e cresciamo nella
santità. Allora il nostro testimoniare, operare e parlare diventano fecondi e
apostolicamente fruttuosi secondo i disegni della volontà di Dio.
Modello
di umiltà
San Giuseppe ha ricevuto lungo i secoli molti “titoli” che
definiscono il suo ruolo nella storia della salvezza e per questo è qualificato
come modello da imitare per noi.
Il primo lo troviamo nei Vangeli è il titolo “giusto”, che
però non va limitato semplicemente a un livello umano: Giuseppe è giusto perché
adempie in pieno la volontà divina.
Nel 1621 Papa Gregorio XV proclamava il 19 marzo festa di precetto in onore del più potente e del più umile santo della Chiesa. Poi Papa Pio IX, l’8 dicembre
1870, con il decreto Quemadmodum Deus, affidava la Chiesa alla protezione di San Giuseppe e lo
proclamava “Patrono della Chiesa universale”.
Ritornando alle parole di Papa Benedetto XVI, vorrei qui
invitare a riflettere su due parole: umile lavoratore.
Certo l’umiltà di Maria rifulge su tutte le creature, ella
che ricolmata di grazia più che ogni creatura nel Magnificat si proclama colei
di cui Dio “ha considerato l’umiltà della sua serva” (cfr. Lc 1,47). Il termine
usato in greco è “tapeinosin” ed in latino “humilitatem” sta ad indicare la
“bassezza” e l’essere “a terra”, cioè prostrati.
Il termine “umile” ben si addice anche allo sposo della
Vergine Maria. In particolare va osservato che “humilitas” viene da “humus” cioè
terra, e in Genesi ci viene ricordato che l’uomo viene dalla terra. C’è dunque
un legame con Adamo, cioè con l’inizio della storia quando l’umanità non è
ancora contaminata dal peccato ma solamente plasmata dalla terra e animata,
vivificata dallo Spirito di Dio.
L’umiltà vera è quella che rimanda alla dimensione di essere
plasmati dalle mani di Dio, riconoscendo
che la nostra pochezza deve lasciarsi plasmare, trasformare ed elevare dalla
potenza della grazia.
L’umiltà si perde col peccato, quando entra in noi qualcosa
che non era nei disegni di Dio e che guasta l’opera della creazione di Dio.
L’orgoglio infatti impedisce di discernere il semplice e limpido operare di
Dio.
Come non riconoscere in san Giuseppe un uomo che ha lasciato
pienamente operare la Volontà di Dio su di sé, e così riparando quanto Adamo
all’inizio della storia aveva confuso e intorbidito.
San Giuseppe è l’uomo dei sogni (come anche il Giuseppe
dell’Antico Testamento) non perché ha avuto sogni, ma perché ha realizzato i
sogni di Dio, tralasciando le proprie aspettative umane e fidandosi totalmente
dei disegni del Divino Beneplacito.
San Giuseppe è riconosciuto come colui che non perde tempo,
appena conosciuta la volontà di Dio subito la mette in pratica. Il Primo
Maestro ricorda «E poi subito S. Giuseppe che metteva in pratica i comandi del
cielo, anche di notte, in qualunque stagione o condizione di salute fosse,
facendo immediatamente, senza perdere nemmeno tempo a dir di sì» (Alle
Figlie di San Paolo 1935, p. 244).
Lavoratore
Strettamente collegato con l’umiltà sta il termine
“lavoratore”. Un’umiltà inattiva e non fruttuosa non esiste. Chi è umile,
secondo le sue capacità, ha le mani sempre impegnate. Chi perde tempo è ben
difficile che sia umile.
Papa Pio XII nel 1955 lo volle proclamare patrono degli
artigiani e degli operai. Non solo per affidargli il lavoro e così portare nel calendario
liturgico il 1° maggio, ma perché il lavoro è qualcosa dell’originario disegno
di Dio nel plasmare l’uomo e nel renderlo partecipe della Sua creazione. Quello
che viene aggiunto dopo il peccato originale è il sudore della fronte, è la
fatica nel lavorare, senza di essa noi non possiamo portare frutto.
Tornando all’espressione di Papa Benedetto, c’è anche un
legame tra “lavoratore” e “vigna”. Viene dal Vangelo, lì dove da Gesù siamo
invitati a portare frutto abbondante: «In questo è glorificato il Padre mio:
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv15,8).
Anche i discepoli di Gesù devono imparare a portare frutto
con il sudore della fronte, anzi portando la Croce assieme a Gesù. Gesù che ha
imparato a lavorare da San Giuseppe in tutta umiltà chiede anche a noi di
“lavorare nella sua vigna” per portare frutto abbondante di grazie, frutto che
deve riempiere i granai del Paradiso, frutto di anime redente per il Regno dei
Cieli.
Don Gino
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