ESISTE UN MODELLO DI "SANTITA' PAOLINA"?
VITO FRACCHIOLLA, SSP
Il cammino della santità, per noi Paolini, è una opzione fondamentale della scelta di vita fatta e ci riguarda sia come battezzati sia come persone consacrate. Nelle Costituzioni, all’articolo 2, abbiamo professato di scegliere la “perfezione della carità” (=santità) e la Parola di Dio la indica come percorso di ogni cristiano: “Io infatti sono il Signore Dio vostro! Santificatevi e siate santi, perché io sono santo” (Lv 11,44s; 19,2; 20,26; 21,8). Stessa risonanza si ha nel Vangelo, quando Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, li invita alla perfezione: “Voi dunque sarete perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). E Paolo chiama “santi” i cristiani ai quali indirizzava le sue lettere. (Rm 1,7; 15,26.31; 16,2; 1Cor 16,1.15; 2Cor 1,1; 8,4; 9,1.12; 13,12; Col 1,2; Fil 1,1; 4,21-22).
Oggi, mi pare, parliamo poco nei nostri ambienti di questo impegno alla santità, per il quale abbiamo messo in gioco tutta la nostra persona e tutta la nostra vita. Eppure, ne sono convinto, l’essere santi è anche quello che vorremmo nell’intimo del nostro cuore, anche se il più delle volte non lo confessiamo apertamente. Ma è anche quello che la gente di oggi, l’umanità e la Chiesa si aspetta da noi.
Se diamo acquisito che il cammino di santità deve rimanere il nostro primario impegno di vita, e che la meta, l’obiettivo, la sostanza della santità è uguale per tutti, battezzati e consacrati, quello cioè che Alberione chiama: “configurazione a Cristo”, “processo di cristificazione”, mi piacerebbe avviare un confronto, con coloro che avranno la bontà di leggere questo scritto, su questa domanda: la strada di santità dei Paolini ha una forma, un timbro particolare rispetto alle strade di santità di altre congregazioni e dello stesso popolo di Dio?
Tale domanda mi è sorta da questa sensazione: quando leggo un articolo dei Gesuiti su Civiltà Cattolica, in ogni articolo, che si parli di teologia, di antropologia, di politica o di scienza, c’è almeno una citazione di una frase o di uno scritto di Sant’Ignazio; quando sento parlare un Francescano, nell’argomento che tratta, qualsiasi esso sia, cita sempre una frase appropriata di San Francesco. Si nota come la conoscenza del pensiero e degli scritti di Sant’Ignazio e di San Francesco traspira da tutti i pori e la visione dei loro Fondatori viene incarnata e attualizzata nella realtà e nelle problematiche dell’umanità di oggi. Questo è il contributo e la ricchezza che ogni carisma porta dentro la società di oggi.
Mi sono chiesto, allora, se anche noi Paolini abbiamo una nostra ricchezza specifica carismatica da proporre, comunicare, testimoniare. E’ una mia impressione, che mi auguro sia sbagliata o esagerata, ma quando noi Paolini scriviamo un articolo, un libro, o vedi la nostra presenza sui nuovi media, si traspira poco e si cita poco San Paolo o Alberione, a meno che non scriviamo e parliamo direttamente di loro o di tematiche ad essi connesse e la visione dei nostri Padri Fondatori mi pare quasi assente come proposta arricchente per i nostri interlocutori.
Ritornando alla domanda sulla santità paolina, credo che la strada della santità paolina ha una specifica sua forma, direi, una sua identità propria, che si aggiunge alla ricchezza delle altre vie di santità che si vivono all’interno della Chiesa e deve essere pervasiva in tutti gli ambiti della nostra vita e della nostra missione.
Don Valdir, in una delle prime sue lettere annuali, ha trattato il tema della santità: “La santità, uno stile di vita (2016)”. Nella sua riflessione egli insiste come la santità rimane l’assillo costante di Don Alberione e che il nostro riferimento per il cammino di santità è San Paolo come colui che pienamente e integralmente ha “tradotto” Cristo nelle sua vita: “Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui …” (Fil 3,8-9).
Quello che mi sembra interessante e originale nella sua lettera annuale è il tentativo di innestare il nostro cammino di santità nell’ambiente specifico della nostra missione: la comunicazione (cfr. cap. 2 della Lettera). Sarebbe opportuno riprendere questo scritto di Don Valdir e riproporlo come riflessione all’interno delle nostre comunità. Succede spesso, infatti, che molti contributi, intelligenti e interessanti di molti Paolini, passano nel dimenticatoio e si ricomincia sempre tutto da capo, penalizzando in questo modo lo sviluppo di un pensiero congregazionale.
La risposta alla domanda che ci siamo posti potrebbe essere scontata e immediata. Ma ciò non vuol dire che faccia parte del nostro DNA. La nostra santità deve avere “la forma” di Paolo che si è modellato “sull’originale” che è Cristo: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Galati 2,19-20). E’ questo il prototipo di santità indicataci dall’Alberione: “Un ulteriore dono di grazia fu per Don Alberione la scoperta di San Paolo, davanti al quale egli resta ammirato per la «personalità, la santità, il cuore, l’intimità con Gesù» (AD 64): l’apostolo universale, modello di santità e di dedizione al Vangelo. Di qui la regola: «La prima cura nella Famiglia Paolina sarà la santità della vita, la seconda la santità della dottrina»” (AD 90).
In sintesi, credo che la “Santità Paolina” ha una sua specificità racchiusa in questi 3 elementi che la caratterizzano:
E’ santità Paolina perché ha come contenuto e base la “forma” della santità di Paolo nel suo rapporto con “l’originale” che è Cristo.
E’ santità Paolina perché ha in Don Alberione colui che ci ha dato una spiritualità appropriata alla nostra identità di Paolini e ci ha indicato le fonti che reggono e sviluppano il nostro cammino di santità.
E’ santità Paolina perché la si vive, la si esercita, la si testimonia in un “ambiente” specifico che è quello della comunicazione, che ne determina anche la modalità “propria” d’essere vissuta.
da: paulus.net
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